173939.fb2 La casa che uccide - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 2

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Se non fosse stato per Laura Westerman, Beth gli avrebbe dato uno schiaffo, ma sapeva che la cosa avrebbe enormemente divertito la donna. Digrignò i denti e si ritrasse bruscamente rovesciando addosso al marito parte del vino. Gary lo asciugò facendo finta di niente e si rivolse a Laura.

«Hai già qualche idea per la campagna pubblicitaria?»

«Gary, tesoro, me l’hai affidata solo due ore fa!»

«D’accordo, d’accordo, ma senti questa: "Alice nel Paese delle Meraviglie" che ne pensi? Una ballerina che esplora il Paese delle Meraviglie, ovvero Smart House.» Prese Laura per mano e la trascinò verso un tavolo tirando fuori dalla tasca un taccuino. «Il più illustre personaggio della letteratura inglese esplora la più illustre casa mai costruita…»

Beth si accorse che Milton le aveva preso il bicchiere di vino per riempirglielo di nuovo e sospirò profondamente. Stava tremando. Gli altri si spostavano lentamente qua e là, tutti presi dai vari discorsi, immersi nella conversazione o in un cupo silenzio, ma Beth non vi badò neppure. Grazie a Milton, Beth continuò a sorseggiare vino e decise che sarebbe partita l’indomani. Era stato stupido aspettarsi un cambiamento da parte di Gary. Avrebbe assunto un avvocato per occuparsi di tutta la faccenda, incluso il divorzio, pensò con una certa sorpresa. In realtà lo aveva deciso al momento, ma si rese conto che uno dei motivi per cui si trovava lì era proprio la speranza di arrivare a quella determinazione.

A cena si ritrovò seduta tra Alexander Randall e Jake Kluge. Alexander aveva ventisette anni, era penosamente magro e affetto da una timidezza patologica, talmente puerile sotto tutti i punti di vista che era un supplizio dover passare con lui anche poco tempo. Aveva tutte le unghie rosicchiate e le dita rosse e irritate. Era terrorizzato dalle donne. Quando la conversazione ritornava sui computer, come avvenne ripetutamente, si metteva ad ascoltare immobile come una statua, ma quando si toccava qualunque altro argomento si chiudeva nuovamente in se stesso. Mangiò con una foga furibonda, senza quasi alzare gli occhi dal piatto. Jake Kluge sembrava preoccupato, oppure assorto profondamente nei suoi pensieri, o completamente assorbito dalla conversazione che si svolgeva all’altro capo del tavolo, dove Gary continuava a esporre progetti per il lancio di Smart House. Naturalmente avrebbero utilizzato la tv, i giornali a tiratura nazionale, avrebbero organizzato delle visite. Lo sguardo di Jake era fisso su Gary, ma Beth era convinta che non lo stesse veramente ascoltando. Come lei, del resto. Provò una perfida soddisfazione nel vedere Laura sulle spine mentre Gary vanificava l’unico motivo per il quale la donna faceva parte della società. Se Gary si fosse fatto carico della pubblicità, oltre che di tutti gli altri aspetti della gestione della società di cui già si occupava, il valore di Laura in quanto risorsa della compagnia sarebbe stato comparabile a quello di Maddie, ovvero praticamente nullo.

Beth non prestò attenzione al cibo che le venne messo nel piatto né alla coppia di mezz’età che servì la cena, presumibilmente marito e moglie d’origine messicana. Si rese vagamente conto che quello che stava mangiando era buono e il servizio eccellente. La cena sarebbe terminata per le nove, pensò, e lei avrebbe seguito Gary per parlargli del suo pacchetto di azioni, sempre che fosse stato a sentirla. Se non avesse voluto ascoltarla lo avrebbe comunque seguito, gli avrebbe augurato buon compleanno e annunciato che l’indomani mattina sarebbe partita immediatamente. Gary sarebbe andato su tutte le furie e Maddie avrebbe di nuovo pianto, ma a Beth non importava più. Andare lì era stato uno sbaglio e restare sarebbe stato anche peggio. Sapeva per certo che se l’avesse bistrattata ancora una volta lo avrebbe picchiato, anzi, si corresse, massacrato di botte. D’un tratto Bruce, seduto di fronte a lei, sbatté il cucchiaio sul piatto. «Cosa cazzo ti fa pensare che avrai un altro milione di dollari da investire in pubblicità, coglione?» urlò a Gary.

«Bruce, controllati!» gli gridò Maddie.

«Questo non è proprio il momento e il posto per fare una scenata» disse freddamente Milton,

In fondo al tavolo Gary rise. Aveva sempre avuto una risata sguaiata, animalesca, simile a un raglio. Beth ebbe un sussulto nell’udire quel suono a lei tanto familiare. «Lo serviamo noi il caffè» disse Gary al maggiordomo. «Porti le tazze e tutto il resto in soggiorno e lei e Juanita ritiratevi non appena avrete sparecchiato.» Gary si alzò e lasciò la stanza.

Gli altri cominciarono ad allontanare le sedie dalla tavola e seguirono Gary in un silenzio imbarazzante.

La stanza in cui si spostarono era grande come la hall di un hotel e, come ogni altro ambiente della casa, stupendamente decorata. Lì i colori usati erano un rosso cupo molto scuro e un azzurro chiaro con striature dorate. C’erano numerosi gruppi di divani, comode poltroncine e tavolini bassi. Gary era già in poltrona di fronte alla vetrata. La cameriera stava sistemando un vassoio con tazze e caffè mentre l’uomo si occupava del cabaret di pasticcini. Quando ebbero finito, si allontanarono silenziosamente prima che tutti gli azionisti si fossero accomodati. Maddie era tesa, ma da perfetta padrona di casa si avvicinò al vassoio e cominciò a versare il caffè.

«Entro lunedì avrò i voti» disse Bruce. Sembrava più calmo adesso, più controllato, ma il suo sguardo era freddo e fiero. Accettò il caffè che gli veniva offerto e si sedette.

Gary sorrise. A mano a mano che Maddie li serviva, si sedevano sui divani o sulle varie poltroncine sistemate a semicerchio di fronte alla vetrata. Il sole era tramontato, il cielo aveva un colore viola scuro, il mare era plumbeo con cavalloni dalle creste bianche di schiuma. S’infrangevano sulla costa, pensò Beth, ma la casa non lasciava trapelare alcun rumore esterno.

«Entro lunedì» disse Gary dopo che tutti si furono seduti «avrete visto Smart House all’opera. Per allora non sarà importante chi avrà più voti. Infatti» proseguì guardandoli con un sorrisetto che sembrava troppo divertito, troppo superiore, come se avesse avuto davanti degli idioti «per dimostrarvi quanto sia certo della fiducia che mi accorderete lunedì, ho organizzato un piccolo passatempo per il fine settimana.» Nessuno si mosse. «Un gioco chiamato "L’assassino".»

Maddie lasciò cadere il cucchiaino sulla tavola e quello fu l’unico suono che si udì. Gary rise e posò la tazzina. «Le regole sono molto semplici. Ve le esporrò brevemente e se vorrete studiarle le troverete sul computer in camera vostra. Lo scopo del gioco è eliminare una vittima designata davanti a un unico testimone, registrare l’uccisione sul computer e richiedere l’assegnazione di una nuova vittima. Ogni giocatore ha in dotazione un solo voto che il suo assassino erediterà dopo l’uccisione. Se una vittima ha già collezionato altri voti, il suo assassino erediterà anche quelli.»

«Sei pazzo» disse aspramente Bruce.

«È solo un gioco» replicò Gary con un’alzata di spalle. «Un modo per costringere ognuno a sperimentare Smart House. Come ho già detto, lunedì non avrà alcuna importanza chi deterrà la maggioranza dei voti. Per allora vedrete tutti Smart House come la vedo io, ma lunedì qualcuno potrebbe aver collezionato qualche voto in più e far pendere le decisioni dalla sua parte. Naturalmente, se non ve la sentite di rischiare, non dovete giocare.»

Ma lui doveva giocare, pensò Beth raggelata dalle parole di Gary. Dovevano giocare tutti quanti. Quando Gary diceva: "Mangiate" loro mangiavano, quando diceva: "Camminate" loro camminavano. Questa volta aveva detto loro di giocare e loro avrebbero giocato.

«Gary, tutto questo è ridicolo» commentò Maddie nervosamente. «Degli adulti non fanno giochi così infantili. Questo è un gioco per bambini, ho letto da qualche parte che ci giocano gli adolescenti.»

Gary parve accigliarsi. «I bambini giocano a un sacco di cose che vanno bene anche per gli adulti. Ricordati che non ho mai avuto la possibilità di giocare molto da bambino e ora voglio recuperare il tempo perduto. Ognuno avrà a disposizione un voto. Le armi saranno al piano inferiore, nella sala d’esposizione. Potete prendere solo un’arma alla volta e dovrete registrarla sul computer altrimenti la morte della vostra vittima non sarà convalidata. Il computer terrà il punteggio e le sue decisioni saranno irrevocabili.»

«Che tipo di armi?» domandò Milton Sweetwater.

«Pistole ad acqua, freccette avvelenate, pillole avvelenate, palloncini di gas tossico, cose di questo tipo. Digitate "Armi" sul vostro computer, vi mostrerà cosa c’è di disponibile. Le armi si trovano tutte al piano inferiore nella sala d’esposizione, in una teca apribile solo tramite computer. Dopo che avrete scelto un’arma non potrete riutilizzarla anche se con essa non sarete riusciti a uccidere nessuno al primo tentativo. Dovrete restituirla e prenderne un’altra. Siete tenuti a non dire nulla a nessuno, né chi è la vostra vittima, né quale arma avete scelto, né se siete già stati uccisi. Nulla!»

Maddie scuoteva la testa. Si alzò e disse: «No, Gary, non voglio avere niente a che fare con questa faccenda.»

«Allora il tuo voto può andare a Laura. È l’unica che non ha niente da perdere.» Gary guardò l’ora. «Il gioco incomincia in questo momento e finisce domenica sera alle dieci. Come già tutti sapete, nessuno può entrare nelle vostre stanze a parte voi. La vostra camera è un posto sicuro, l’unico assolutamente sicuro, a meno che non invitiate a entrare il vostro assassino. Ricordatevi che avete bisogno di un testimone, e vivo o morto che sia qualunque giocatore può testimoniare, ma non più di uno. Appena commesso l’assassinio dovrete comunicarlo al computer insieme alla vittima e al testimone. Il computer vi darà le istruzioni necessarie.»

Gary si alzò e li scrutò. Nessuno sollevò obiezioni. D’un tratto, in maniera del tutto inaspettata, esplose nella sua folle e sguaiata risata, e la interruppe così bruscamente da dare l’impressione che fosse controllata da un interruttore e non da un’emozione, poi lasciò la stanza.

«È veramente pazzo» commentò Bruce con un tono basso e pieno di animosità. «Da ricovero!»

Milton Sweetwater si voltò verso Alexander Randall. «È a questo che stava lavorando? A programmare un dannato gioco?»

Alexander sembrava sulle spine. «Non ne sapevo niente. Gary temeva che nessuno di voi avrebbe dato a Smart House la possibilità di dimostrare le sue potenzialità. Credo sia vero quello che ha detto: se parteciperete al gioco scoprirete cosa può fare.»

«Invece tu, stronzetto, lo sai già» gli disse sgarbatamente Harry Westerman. Fissò con odio prima Alexander poi Rich Schoen. «Pure tu. Cosa sapete di questa storia voi due?»

Rich Schoen era l’architetto. Lui, Alexander e Gary avevano vissuto nella casa per mesi, avevano lavorato insieme al progetto fin dall’inizio. Prima d’allora Beth aveva incontrato Rich solo una volta e le era parso distaccato, distratto, esattamente come le sembrava distaccato e distratto in quel momento. Era un uomo di costituzione robusta, con un’ampia gabbia toracica, mani e polsi grandi, e una testa particolarmente grossa quasi del tutto pelata. La moglie e la figlia erano rimaste vittime di un incidente stradale un paio d’anni prima che cominciasse a lavorare per Gary sul progetto della casa. Con grande calma guardò Harry e disse: «Stasera è la prima volta che sento parlare del gioco. Se non è di tuo gradimento, non giocare.»

Osservandolo, Beth pensò che era esattamente ciò che Rich avrebbe fatto se non gli fosse piaciuto il gioco. Avrebbe semplicemente detto di no, ma Rich non aveva più niente da perdere. Quello che lei aveva scambiato per distacco e distrazione in realtà era un atteggiamento di facciata per coprire un enorme vuoto. Gary le aveva raccontato che per Rich esisteva solo il lavoro, e guai a chi si frapponeva tra lui e il suo lavoro. Lo osservò in silenzio alzarsi e uscire senza voltarsi indietro.

«Sta andando a scegliere un’arma» disse Laura, e si alzò in piedi. «E così farò io» aggiunse prima di andarsene.

Con qualche imbarazzo e qualche esitazione gli altri cominciarono ad alzarsi e a gironzolare per la stanza, finché uno dopo l’altro lasciarono l’ampio salone.

Tornata nella sua stanza rosa e gialla, Beth la percorse a lungo avanti e indietro. Gary era veramente pazzo? Alla fine concluse che non era possibile. Beth sospettava che avesse detto loro semplicemente la verità. Prima da bambino e poi da adolescente non aveva avuto tempo di giocare, e ora voleva recuperare le occasioni perdute. Cosa voleva dire quando aveva spiegato che il gioco serviva a obbligarli a "sperimentare Smart House"? Diede uno sguardo al computer e non fu affatto sorpresa nel vedere sul monitor un menù: REGOLE, ARMI, VITTIME, COME REGISTRARE UN PUNTO, PIANTA DI SMART HOUSE, CUCINA. Si sedette, selezionò la prima voce del menù e lesse le regole del gioco. Gary le aveva esposte in modo conciso, ma senza omettere nulla. Poi Beth esaminò le armi, ognuna delle quali apparve sullo schermo con un breve testo che ne spiegava l’utilizzo.

Pistola ad acqua. Portata un metro e mezzo. Non può sparare attraverso il vetro o qualunque altro materiale solido come una porta o un muro.

C’era la sezione di un filo di plastica e Beth lesse le istruzioni:

Filo elettrico da collegare a una presa di corrente. Può essere usato in tutti i modi in cui un vero filo elettrico può trovare impiego.

C’era un pugnale autoadesivo di gomma, tre pillole di veleno delle dimensioni di un quarto di disco color cioccolata, un nastro chiamato garrotta con del velcro alle due estremità. Per avere il punto doveva essere messo intorno al collo della vittima fissando il velcro. C’era poi una borsa di rete a trama larga che doveva essere usata come una pellicola di plastica. Passò in rassegna tutto l’assortimento di armi, poi selezionò la pianta della casa. Quando comparve il piano seminterrato domandò, digitandolo sulla tastiera, se ci fosse uno stampato.

Lo stampato è nel primo cassetto della scrivania

le rispose il computer sullo schermo.

Beth si chiese quale altra informazione fosse programmato a fornire il computer, ma non diede seguito alla sua curiosità. Prese lo stampato e lo aprì sulla scrivania per studiarlo. C’erano i disegni della pianta della casa, disegni eseguiti con grande abilità, probabilmente da Rich. Vide un ascensore e due rampe di scale poste a ogni piano sul fronte e sul retro, mentre la terrazza che circondava la cupola sul tetto era raggiungibile a piedi o in ascensore.

Studiata la pianta della casa, ritornò al menu con una certa riluttanza e selezionò "Vittime". Sul monitor apparve la scritta:

La tua prima vittima è Rich Schoen. Buona fortuna.

Il messaggio svanì, Beth si ritrovò nuovamente davanti al menù e si mordicchiò il labbro. Beth pensò che compiendo quella stessa operazione uno degli altri doveva aver letto il suo nome sullo schermo. Uno di loro stava selezionando un’arma, stava mettendo a punto un piano. Il computer la abbagliò con un nuovo messaggio e Beth chiuse istintivamente gli occhi.

Desideri che ti mostri ancora le armi?

«No» rispose bruscamente. «Sai dov’è Gary?»

«SÌ, BETH.»

«Dov’è?»

«MI DISPIACE. NON MI È PERMESSO FORNIRTI QUESTA INFORMAZIONE.»

«Va’ al diavolo» mormorò, e si voltò verso la porta. Solo allora si accorse di aver comunicato con quella dannata macchina senza la tastiera. Quindi Gary aveva messo a punto un computer geniale, pensò, un computer che capiva un linguaggio parlato non programmato. Beth si rese conto che quella era una delle cose che Gary voleva sperimentassero da soli. Ma cos’altro dovevano sperimentare?

Aprì la porta e uscì dalla stanza appena in tempo per scorgere qualcuno in fondo alla curva del corridoio che si ritraeva e rientrava in fretta nella stanza, ma non riuscì a identificare chi fosse. All’improvviso provò una fitta allo stomaco, forse causata dalla paura, dall’ansia o dal nervosismo. «Per l’amor di Dio» mormorò «è solo un gioco!» In quel momento però capì che altri avrebbero preso il gioco seriamente e avrebbero fatto di tutto per vincere, per guadagnare punti e far pendere le decisioni a proprio vantaggio all’assemblea degli azionisti di lunedì. Per la prima volta dalla nascita della società il suo voto era importante per qualcuno, abbastanza importante da motivare un assassinio. Per la prima volta era percepita da qualcuno come una minaccia. Sentì che stava per cominciare a ridere e fece un profondo respiro. "Accidenti a Gary" pensò nuovamente così come le era accaduto molte altre volte nel corso degli anni. "Accidenti a lui."

Beth vagò per la casa per qualche tempo ma non riuscì a trovare suo marito. Provò l’ascensore, andò sul tetto a vedere la terrazza, diede uno sguardo alla cucina e infine s’imbatté nella sala d’esposizione nel seminterrato dove si trovava la teca in cui erano esposte le armi. C’erano delle stupide pistole ad acqua a forma di drago, una cerbottana con le pallottole, i dischetti avvelenati. Beth giunse alla conclusione che ogni arma doveva trovarsi in uno scomparto monitorato dal computer. Non avrebbe saputo come altro spiegare il fatto che la macchina sapesse chi aveva prelevato un certo tipo di arma, dal momento che non era riuscita a individuare alcuna telecamera. Si allontanò dalla teca e osservò la stanza. Erano esposti tutti i computer della Bellringer Company a partire dal primo, che ora aveva un aspetto antiquato e assomigliava più a un giocattolo che a una macchina realmente funzionante, fino al più recente, che aveva tutta l’aria di costare centinaia di migliaia di dollari. Ogni software di base era stato esposto su un impeccabile supporto in resina acrilica. Appese ai muri campeggiavano le foto ingrandite dei chip di silicio. Misuravano almeno un metro e mezzo per due ed erano bellissime.

«Di grande effetto, vero?»

Si voltò di scatto e vide sulla soglia Harry e Laura Westerman. Nessuno dei due sembrava avere in mano un’arma. Poi, alle loro spalle, vide Alexander e tirò un sospiro di sollievo ricordandosi che il gioco prevedeva un solo testimone. Sarebbero stati al sicuro in gruppi di quattro o più persone.

Laura rise. «Abbiamo deciso di andare in giro a gruppi. È come trovare il quarto giocatore per una partita a bridge. Hai già scelto l’arma?»

Beth si strinse nelle spalle. «Forse. E tu?»

Alexander avanzò strascicando i piedi e guardando ripetutamente Laura, Beth e Harry Westerman. «Ora siamo in quattro, prendiamo le armi così me ne vado. Devo sbrigare ancora alcuni affari, stasera.»

Beth lo fissò, poi si voltò verso Laura e Harry. Erano tutti d’accordo! Annuì con rassegnazione e si avviò con Alexander verso la porta, fermandosi di fronte alla sala giochi. Nella parte centrale del seminterrato c’erano tavoli da ping-pong, da biliardo, giochi elettronici, hockey, flipper… Gary stava veramente cercando di recuperare l’infanzia perduta, pensò amaramente. La sala giochi era deserta. Alle sue spalle Beth udì Laura chiedere a Harry di voltarsi e di non sbirciare, poi la voce del computer disse: «Grazie Laura. La tua arma è stata registrata.» La stessa operazione fu ripetuta da Harry. Quando Harry e Laura ebbero finito Beth e Alexander rientrarono nella stanza.

Alexander le fece segno di andare avanti e si voltò di schiena quando lei si avvicinò alla teca. Non sapeva dire cosa mancasse. Prima aveva notato che c’erano più esemplari della stessa arma ed era ancora così. Dal momento che sul computer della sua camera non aveva ancora selezionato nulla, non era nemmeno sicura di poter prendere un’arma.

Dopo un attimo di esitazione sollevò il coperchio della teca e prese uno dei palloncini. La voce la ringraziò personalmente, così come era avvenuto anche per gli altri. Chiuse il coperchio e cercò di risollevarlo ma senza riuscirci. "D’accordo" pensò, e infilò il palloncino nella tasca della gonna.

«Tocca a te» disse ad Alexander che si muoveva nervosamente mostrando tutta la sua impazienza.

«Dopo» disse. «Prenderò qualcosa dopo. Sentite, ho davvero un sacco di lavoro da sbrigare…»

Laura rise emettendo nuovamente un suono gutturale. «Potresti aspettare un attimo? Dacci un minuto per andare via da qui. Voglio proprio assaggiare il dolce che prima ci siamo persi. Vieni anche tu, Harry?»

In due erano al sicuro, pensò Beth distrattamente, o in quattro, ma non in tre. Aspettarono che Laura e Harry si fossero allontanati, quindi Alexander assunse un’aria elettrizzata e quasi attraversò di corsa la sala giochi dileguandosi in un corridoio. Beth si avviò lentamente verso le scale per ritornare al piano terra. Nella tasca il palloncino sembrava pesante come piombo.

Al pianterreno un gruppo di persone si era radunato nel corridoio accanto alla porta della cucina. Beth si avvicinò e Milton la salutò con un cenno mentre Maddie disse che aveva portato in cucina il vassoio con le torte. Maddie aveva in mano un bicchiere pieno di cubetti di ghiaccio. Quando Laura la invitò a unirsi a loro Maddie rispose con un gesto vago. «Vado a vedere un film» disse. «Buon film» le augurò Laura. Maddie si allontanò verso l’atrio lasciando aperta la porta scorrevole. L’odore del cloro invase il corridoio. Laura richiuse la porta a vetri scuotendo la testa, guardò Milton e Beth e sollevò una mano con quattro dita. Harry entrò in cucina per primo con un’aria disgustata. In cucina c’erano un tavolo da lavoro in legno di quercia lungo quattro metri e mezzo, un frigo a doppia porta, una cella freezer, il più grande forno microonde che Beth avesse mai visto e un’infinità di altre cose. Beth si soffermò stancamente a esaminarle, poi si voltò verso il tavolo in cerca di un biscotto. Un robot si staccò dalla parete per asciugare il latte che Laura aveva deliberatamente versato con l’intento di dimostrare come entrava in funzione. Milton la osservò attentamente annuendo di tanto in tanto. Harry la ignorò e andò a prendere del ghiaccio in frigo. C’erano finestre autopulenti ovunque, spiegò Laura masticando rumorosamente un biscotto. Se si desiderava un caffè era sufficiente schiacciare un pulsante. Se si voleva del latte, un altro pulsante. Harry prese un decanter da una credenza e si versò da bere.

«Lo porto su in camera» disse.

Laura balzò in piedi. «Lo sai che non ci resto qui insieme ad altre due persone» disse, e si mise a ridere, ma nessuno rise insieme a lei.

«Questa maledetta storia durerà per tutto il fine settimana» borbottò Beth guardandoli allontanarsi. «Vorrei riuscire a trovare Gary. Devo parlargli.»

«Potrebbe essere ovunque» le rispose Milton stringendosi appena nelle spalle. «In piscina a nuotare, nella Jacuzzi, a lavorare, a dormire, a guardare il film con Maddie. In questo momento potrebbe essere impegnato a uccidere qualcuno, oppure sta per essere ucciso. Sai, pensa che tu sia qui per chiedergli il divorzio. Mi ha domandato se c’è un modo per evitarlo.»

Beth fece un respiro profondo. «E tu cosa gli hai risposto?»

«Che non è il mio campo. Beth, dovresti farti rappresentare da un avvocato. Non affrontarlo da sola.» Milton si avviò verso la porta. «A domani. Buonanotte.»

Beth finì di bere il latte riflettendo su Milton e sull’inquietante sensazione che non fosse affatto preoccupato per lei, ma piuttosto volesse evitare di assistere a una scenata durante la permanenza forzata in quella casa. Non era cambiato nulla, pensò stancamente. Avevano ancora tutti paura di Gary e delle sue sfuriate. Mise il bicchiere nella lavastoviglie. Gary era ancora sveglio, ne era certa. Non andava mai a letto prima delle due o addirittura le tre del mattino. Non si alzava mai prima dell’una, e alle due riprendeva a stento delle fattezze umane. Se non gli avesse parlato quella sera lo avrebbe rivisto soltanto il giorno seguente nel primo pomeriggio. Si sentiva così stanca che avrebbe anche potuto addormentarsi in piedi. "Cinque minuti" si disse. Se non lo trovava entro cinque minuti avrebbe lasciato perdere e sarebbe andata a dormire, ma se lo trovava avrebbero messo le cose in chiaro. Beth sorrise risolutamente. Lei e Rich, pensò, erano gli unici a non avere nulla da perdere.

Uscì dalla cucina e si diresse verso la sala tv. Prima di arrivarvi udì Maddie urlare con rabbia.

«Ti avevo detto di non includermi tra i giocatori! Davvero! Lasciami in pace!»

Beth si fermò sulla soglia a guardare. La stanza era illuminata da un gigantesco schermo sul quale stavano ballando Ginger Rogers e Fred Astaire. Il volume era stato tolto.

«Lo hai visto! L’ho colpito e tu lo sai!» urlava Gary. Bruce lo spinse bruscamente da parte e uscì a grandi passi. Beth si scansò. Bruce non si fermò nemmeno quando Gary lo inseguì urlandogli: «Figlio di puttana! Non andartene! Ti ho preso!»

«Gary!» gemette la madre.

«Non hai preso proprio nessuno, testa di cazzo!» gli urlò Bruce con una voce stridula.

Beth si premette le mani sulle orecchie, si voltò e corse via rifugiandosi nella sua stanza. Quando ebbe chiuso la porta si accorse che stava tremando, non per la paura ma per la rabbia, una rabbia che non immaginava fosse capace di provare.