125787.fb2 Polvere di Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 10

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«Soffrite per caso di claustrofobia?»

Tom esitò, non volendo ammettere di avere qualche debolezza. Certo, non ne soffriva in forma acuta, altrimenti non sarebbe potuto vivere a bordo di un satellite artificiale, o salire su una nave spaziale. Ma tra nave spaziale e tuta spaziale c’era una bella differenza.

«Posso farcela benissimo» rispose.

«Non forzatevi, se non ve la sentite» insistette Lawrence. «Sarei contento se veniste con noi, ma non voglio costringervi a eroismi inutili. Pensateci bene fin che siamo in tempo. Una volta usciti in mare aperto, potrebbe essere tardi per pentirsene.»

Tom guardò la slitta mordendosi le labbra. L’idea di andarsene a spasso su quell’infernale distesa di polvere, a bordo di quella trappola, gli pareva pura follia; eppure, quegli uomini lo facevano tutti i giorni. E se per caso il rivelatore si guastava, c’era almeno qualche speranza che lui potesse aggiustarlo.

«Qui c’è una tuta della vostra misura» disse Lawrence. «Provatela, prima di prendere una decisione.»

Tom s’infilò nell’indumento flaccido e al tempo stesso crocchiante, chiuse la cerniera sul davanti e rimase là, ancora senza il casco, con la sensazione d’essere un pagliaccio. La bombola d’ossigeno che faceva parte dell’insieme sembrava incredibilmente piccola, e Lawrence notò lo sguardo preoccupato dell’astronomo.

«Quella è solo la riserva; dura quattro ore, ma non ne avrete bisogno. Il serbatoio dell’ossigeno è sulla slitta. Attento al naso… ora vi infilo il casco.»

Tom comprese, dall’espressione con cui gli altri lo guardavano, che quello era il momento in cui si distinguevano gli uomini dai ragazzi. Fino a che quel casco non veniva chiuso, si faceva ancora parte della razza umana; dopo, si restava soli, in un piccolo mondo meccanico tutto proprio. Potevano esserci dei compagni a pochi centimetri di distanza, ma bisognava guardarli attraverso uno spesso visore di plastica, parlare con loro a mezzo radio. Non si poteva nemmeno toccarli, se non attraverso un doppio strato di pelle artificiale. Qualcuno aveva scritto che morire dentro una tuta spaziale voleva dire morire «più solo di un cane». Per la prima volta, Tom si rese conto che doveva essere proprio vero. La voce dell’ingegnere capo risuonò all’improvviso attraverso i piccoli altoparlanti sistemati all’interno del casco.

«L’unico comando che dovete imparare a usare è quello di comunicazione… quel pulsante alla vostra destra. Normalmente, sarete sempre in comunicazione col pilota; il circuito resterà sempre aperto, finché sarete entrambi a bordo, e potrete comunicare come vorrete. Ma quando il contatto cessa, bisogna usare la radio… come fate adesso mentre ascoltate me. Schiacciate quel pulsante con scritto Trasmissione e rispondetemi.»

«A che serve quel bottone rosso con su scritto Emergenza?» domandò Tom, dopo aver eseguito le istruzioni.

«Non vi servirà… spero. È un segnale d’allarme, perché dalla base vengano in vostro soccorso. Non toccate nient’altro senza prima ricevere istruzioni da noi, specialmente quel bottone rosso.»

«State tranquillo» promise Tom. «Possiamo andare.»

A passi un po’ incerti, perché non era abituato alla tuta né alla gravità della Luna, Tom prese posto a bordo della Slitta Due. Una specie di cordone ombelicale, innestato nel fianco destro della tuta, collegava la tuta spaziale alla corrente e al serbatoio d’ossigeno dell’imbarcazione. Il veicolo poteva tenere in vita un uomo, sia pure in modo un po’ scomodo, per tre o quattro giorni.

Il piccolo hangar era di dimensioni appena sufficienti a contenere le due slitte, e le pompe impiegarono pochi minuti ad aspirarne l’aria. Mentre la tuta s’irrigidiva intorno al suo corpo, Tom provò un istante di panico. L’ingegnere e i due piloti lo stavano osservando, e lui non voleva far vedere che aveva paura. Nessun uomo poteva fare a meno di sentirsi emozionato quando, per la prima volta in vita sua, affrontava il vuoto.

Le porte dell’hangar si aprirono; grigia e uniforme la piatta distesa del Mare della Sete si spalancò davanti agli occhi di Tom. La slitta vibrò sotto di lui, mentre le eliche cominciavano a girare; poi, in coda all’imbarcazione gemella, la Slitta Due scivolò lentamente fuori, sulla nuda superficie della Luna.

I raggi bassi del sole nascente investirono d’improvviso i quattro uomini appena le slitte emersero dalla lunga ombra degli edifici del porto. Nonostante la protezione dei filtri automatici, era pericoloso guardare verso il bagliore biancoazzurro che incendiava il cielo a oriente. No, si corresse Tom: questa è la Luna, non la Terra; qui il sole si leva a ovest. Quindi ci dirigiamo verso nordest, verso il Golfo della Rugiada, lungo la rotta che il Selene ha seguito e non ha più ripercorso.

Ora che le basse cupole del porto rimpicciolivano in distanza, Tom cominciò a provare l’eccitazione e l’ebbrezza della velocità. La sensazione durò solo pochi minuti, fino a che ogni punto di riferimento sparì e i quattro uomini vennero afferrati dall’illusione di trovarsi immobili al centro di un piano che si stendeva all’infinito.

Tom sapeva di viaggiare a una velocità che in un paio d’ore li avrebbe portati dalla parte opposta del Mare della Sete; eppure doveva lottare con l’allucinante sensazione di trovarsi a parecchi anniluce da qualsiasi speranza di salvezza. Fu in quel momento che, suo malgrado, Tom cominciò a nutrire un certo rispetto per gli uomini che lavoravano con lui.

Il capitano Anson, comandante dell’Auriga, si fece più trattabile dopo il secondo whisky; un uomo che sapeva trovare del buon whisky in un postaccio come Porto Roris meritava di essere preso sul serio. Anson domandò a Spenser come avesse fatto.

«Il potere della Stampa» rise l’altro. «Un cronista non rivela mai le sue fonti d’informazione, altrimenti non durerebbe a lungo nel suo mestiere.»

Spenser aprì la cartella e ne trasse un fascio di fogli e di fotografie.

«È stato molto più difficile procurarsi questa roba, e in così poco tempo. Vi sarei grato, capitano, se però non ne parlaste con nessuno. È estremamente confidenziale, almeno per il momento.»

«Certo, certo. Si tratta… del Selene?»

«L’avete capito subito, eh? Proprio così. Forse non ne caverò nulla, ma è bene prepararsi a ogni evenienza. Guardate questa foto, quell’ovale scuro è il Lago del Cratere…»

«Dov’è scomparso il Selene?»

«Dove «si crede» che sia scomparso; ma pare che la cosa non sia più tanto certa. L’amico che è salito a Lagrange pensa che sia sprofondato nel Mare della Sete, se ho capito bene… su per giù in quest’area. In questo caso, i passeggeri dovrebbero essere ancora vivi. E sempre in questo caso, capitano, ci sarà una spettacolosa operazione di salvataggio a un centinaio di chilometri da qui. Porto Roris diventerà il centro più importante di tutto il sistema solare.»

«Sarà! Be’, comunque è affare vostro. Io come c’entro?»

«C’entrate e come, capitano. Voglio noleggiare la vostra astronave. E voglio che mi scarichiate, con un operatore e duecento chili di attrezzature TV, proprio sulla parete occidentale delle Montagne Inaccessibili.»

«Non ho altre domande da fare, Vostro Onore» disse il pubblico ministero Schuster, mettendosi seduto.

«Benissimo» rispose il presidente Hansteen. «Devo ordinare al teste di non allontanarsi dalla giurisdizione della corte.»

Tra le risate generali, David Barrett ritornò al suo posto. Aveva fatto ottimamente la sua parte; le sue risposte erano state serie e ponderate, ma rallegrate da battute spiritose, e avevano tenuto avvinto l’interesse del pubblico. Se tutti gli altri fossero stati altrettanto arguti, il problema di come ammazzare il tempo sarebbe stato risolto, almeno finché ci fosse stato del tempo da ammazzare.

Hansteen guardò l’orologio; mancava ancora un’ora alla frugale colazione. Si poteva tornare alla lettura del Cavaliere della valle solitaria o incominciare (nonostante le obiezioni della signorina Morley) la lettura di quell’assurdo romanzo storico. Ma era un peccato interrompere il gioco, visto che tutti si divertivano.

«Se siete tutti d’accordo» propose il commodoro «chiamerò un altro teste alla sbarra.»

«Approvo» disse subito Barrett, che ormai si sentiva al sicuro da ulteriori indagini. Perfino i giocatori di poker erano favorevoli, e il cancelliere estrasse un altro nome dalla teiera che fungeva da urna.

Il cancelliere guardò il bigliettino con aria perplessa ed esitò prima di leggere il nome.

«Che c’è?» s’informò la corte. «È il vostro nome, per caso?»

«No, Vostro Onore» rispose il cancelliere, guardando il pubblico ministero con un sorrisetto malizioso. Poi si schiarì la gola e chiamò: «Signora Myra Schuster!»

«Vostro Onore… mi oppongo!» La signora si alzò lentamente, in tutta la sua mole. Poi indicò il marito, che pareva imbarazzato, e cercava di darsi un contegno disinvolto. «È giusto che sia proprio «lui» a farmi le domande?»

«Sono disposto a farmi sostituire» dichiarò Irving Schuster, prima ancora che la corte avesse il tempo di dire: «Obiezione accolta».

«Posso fare io le domande» disse il commodoro, ma non sembrava convinto. «A meno che non ci sia qualcun altro che si senta qualificato a sostituire il pubblico ministero.»

Seguì un breve silenzio; poi, con gran sollievo di Hansteen, uno dei giocatori di poker si alzò. «Non sono avvocato, Vostro Onore, ma ho qualche esperienza in materia legale. Mi metto a vostra disposizione.»

«Benissimo, signor Harding. A voi la teste.»

Harding prese il posto di Schuster di fianco ad Hansteen e passò in rassegna il pubblico. Era un uomo robusto e deciso, che in un certo senso sembrava poco tagliato per la professione dichiarata di funzionario di banca; Hansteen si domandò, fuggevolmente, se quella dichiarazione corrispondesse alla verità.

«Vi chiamate Myra Schuster?»

«Sì.»

«E come mai, signora Schuster, siete venuta sulla Luna?»

La teste sorrise. «La risposta è semplice. Mi hanno detto che quassù avrei pesato soltanto venti chili… e così ci sono venuta.»

«E perché mai, signora Schuster, volevate pesare solo venti chili? La signora guarda Harding come se avesse detto qualcosa di molto stupido.» Be’, un tempo ero ballerina «disse, e la sua voce divenne improvvisamente nostalgica, l’espressione assente.» Poi rinunciai, si capisce, quando sposai Irving Schuster.

«Perché avete detto «si capisce», signora Schuster?»