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Com’era possibile che esso fosse così poco riconoscente? Ma lei era quasi scoppiata a ridere del proprio risentimento, quando le era venuta quell’idea. Come se un demone avesse mai conosciuto la gratitudine! Ma dal giorno in cui lei l’aveva intrappolato con i suoi incantesimi nella palude, gli aveva riservato il miglior trattamento. L’aveva preso e trasportato, ordinando ai suoi seguaci che l’aiutassero alla bisogna. Gli aveva dato il meglio di ogni cosa, qualunque cosa desiderasse. Secondo i suoi ordini, lei aveva mandato degli esploratori a cercare gli occhi smarriti del demone. E lui le aveva permesso, l’aveva perfino incoraggiata a usare quegli occhi come se fossero suoi, quali guardiani e protettori. Ella gli aveva insegnato a comprendere il proprio linguaggio (perché il demone era ignorante come un infante per ciò che riguardava il mondo dei mortali) quando si era resa conto che voleva comunicare con lei. Aveva fatto tutte queste cose per guadagnarsi i suoi favori, poiché sapeva che, se era caduto fra le sue mani, doveva esserci una ragione; e se lei fosse riuscita a guadagnarsi la sua collaborazione, non ci sarebbe stato più nessuno che avrebbe osato sbarrarle la strada.
Ella aveva trascorso ogni ora libera a tenergli compagnia, alimentando la sua curiosità, e la propria, mentre nutriva le sue fauci ingioiellate… fino a quando, gradualmente, queste conversazioni col demone erano diventate un fine in se stesse, un tesoro che valeva il sacrificio anche dei metalli più preziosi. Perfino la lunga, continua attesa che il demone valutasse con la sua mente aliena le sue domande e le sue risposte, non l’aveva mai stancata, lei era giunta perfino a provar piacere in questo condividere i suoi silenzi, e nel rilassarsi alla calda luce ambrata del suo sguardo.
T’uupieh abbassò lo sguardo alla cintura di fibre finemente intessute che, passando tra i suoi fianchi e le ali, le stringeva la tunica al corpo. Siorò i massicci grani ambrati che la decoravano: pasta intrisa di metallo racchiusa in pietracqua lucidata dalle arti segrete del gioielliere. Ciò le ricordava sempre gli innumerevoli occhi del suo demone. Il suo demone…
Volse di nuovo lo sguardo verso il fuoco, verso le forme avvolte nei mantelli dei suoi fuorilegge. Sin da quando il demone era venuto da lei, aveva sentito allargarsi gradualmente, ma ineluttabilmente, lo spazio sia fisico che mentale che la separava, come capo, dalla sua banda di seguaci. Era sempre il loro capo, oggi, anzi, ben più saldamente, poiché aveva dominato il demone; e il legame del pericolo condiviso che li univa non si era mai indebolito. Ma c’erano altri bisogni che la sua gente poteva reciprocamente soddisfare, mentre lei ne rimaneva irrimediabilmente esclusa.
Li fissò: dormivano profondamente, come morti; anche lei avrebbe dovuto dormire così, preparandosi all’indomani. Perché essi dormivano a intervalli irregolari, quando potevano, come faceva la gente comune, come faceva anche lei, adesso, senza ibernarsi durante la notte come la vera nobiltà. Molti dormivano a coppie, maschio e femmina, anche se usavano accoppiarsi con la mancanza di discriminazione tipica della gente comune, tutte le volte che la femmina sentiva che era giunta la sua stagione. T’uupieh si chiese che cosa mai s’immaginavano, nel vederla seduta lì, accanto al demone, fino a tarda notte. Lei sapeva ciò che essi credevano: che l’aveva scelto per suo consorte, o che esso aveva scelto lei. Vide che Y’lirr continuava a dormire solo. Y’lirr le piaceva, e si fidava di lui più di chiunque altro; era fulmineo e spietato, e sapeva anche che la venerava. Ma era un plebeo… e, cosa più importante, egli non l’aveva sfidata. In nessun luogo, neppure tra la nobiltà, aveva trovato qualcuno che le offrisse il tipo di compagnia che lei bramava… fino ad ora, finché il demone non era giunto. No, non era disposta a credere che tutte le sue parole fossero state menzogne…
— T’uupieh — il demone chiamò il suo nome ronzando nell’aria nebbiosa e scura. — Forse tu non puoi cambiare il disegno del fato, ma puoi sempre cambiare idea. Hai già sfidato il fato diventando una fuorilegge, e dichiarando la tua fame del sangue di Klovhiri. Tua sorella ha invece accettato… — alcune parole inintelleggibili. — …Lascia perciò che sia la Ruota a prenderla. Puoi davvero ucciderla per questo? Perché invece non ti sforzi di capire perché lo ha fatto, come ha potuto farlo? Non devi ucciderla per questo… non devi uccidere nessuno di loro. Hai forza sufficiente, hai coraggio, per mettere da parte la vendetta e trovare un’altra via per giungere ai tuoi scopi. Puoi scegliere di essere misericordiosa, puoi scegliere il tuo sentiero attraverso la vita, anche se la meta finale della vita è sempre, fatalmente, la stessa.
T’uupieh si alzò in piedi, risentita, fissando il demone in tutta la sua altezza, stringendosi il mantello intorno al corpo. — Anche se desiderassi cambiare idea, è troppo tardi. La Ruota è già in movimento… e io ora devo dormire, se voglio esser pronta. — S’incamminò verso il fuoco; si fermò un attimo, guardando dietro di sé: — Non c’è niente che io possa fare, adesso, o mio demone. Non posso cambiare il domani. Soltanto tu puoi farlo. Tu.
Ella lo udì, più tardi, che chiamava sommessamente il suo nome, mentre lei giaceva insonne sul gelido suolo. Ma voltò ostentatamente le spalle a quel suono e giacque immobile, e finalmente il sonno sopraggiunse.
Shannon ricadde nell’abbraccio del seggiolino imbottito, sfregandosi la testa dolorante. Le sue palpebre erano come carta vetrata, il suo corpo pesava come piombo. Fissò lo schermo, la schiena di T’uupieh girata ostentatamente verso di lui mentre ella dormiva accanto al falò dalle fiamme di azoto.
— D’accordo, è finita. Mi arrendo. Non ha voluto neppure ascoltare. Chiama Reed e digli che abbandono.
— Che abbandoni ogni tentativo di convincere T’uupieh? — chiese Garda. — Ne sei sicuro? Potrebbe ancora tornare sulle sue decisioni. Metti più enfasi sulle… sull’aspetto spirituale. Dobbiamo esser certi di aver fatto tutto quello che potevamo per… per farle cambiare idea.
Per salvare la sua anima, pensò lui, acido. Garda aveva ricevuto la sua prima istruzione in un istituto dedito alla lettura della Bibbia; durante le ultime ore, egli aveva scoperto in lei il desiderio ancora vivo, anche se inconscio, di far proseliti. Ma quale anima? — Stiamo sprecando il nostro tempo. Sono ormai sei ore che non mi rivolge più la parola. E non ha alcuna intenzione di tornare a farlo… Di’ pure a Reed che intendo abbandonare tutto. Non voglio esser qui per la scena madre, ne ho avuto abbastanza.
— Tu non parli sul serio — ribatté Garda. — Sei stanco. Hai anche tu bisogno di riposo. Quando T’uupieh si sveglierà, potrai parlarle di nuovo.
Egli scosse la testa, ricacciando indietro i capelli. — Dimenticatene. Chiama Reed e basta. — Guardò fuori dalla finestra, all’alba brumosa contro la quale cominciavano a stagliarsi i profili dei condomini balneari.
Garda scrollò le spalle, delusa, e si voltò verso il telefono.
Shannon studiò le senso-piastre del sintetizzatore, ancora avvolte dalla fosforescenza e in attesa, le quali invitavano, mute, le sue mani stanche e appesantite a tentare ancora una volta… E pensò che se avesse fatto quell’ultimo appello, non sarebbe più stato costretto, almeno, a farlo davanti agli occhi e agli orecchi di un mondo in attesa: era assai difficile che vi fossero dei cronisti talmente dediti al proprio mestiere da trovarsi ancora, a quell’ora, nella sala-osservatorio dalla parete di vetro. La sera prima, sul presto, le loro domande erano state interminabili, e avevano scavato impietose nei suoi sentimenti, nelle sue motivazioni, nei suoi progetti, interrogandolo sulla moralità di «Robin Hood», o meglio sulla mancanza di essa… e anche sulla sua moralità, e frugando fra cento altre cose che erano soltanto affari suoi, di lui, Shannon.
Un tempo, anche il mondo della musica aveva tentato di fare lo stesso con lui, ma allora c’erano stati dei paraurti, agenti, addetti alla pubblicità, a proteggerlo. Ora, invece, quando c’era tanto di più in gioco, lui non aveva goduto di nessuna protezione, anzi, Reed, al microfono, aveva ricacciato con la sua eloquenza l’intera stanza e il resto della gente sullo sfondo, esibendo Shann il Terrestre come attrattiva principale, un prodigio (o un mostro?), fino a quando lui aveva cominciato a sentirsi come un uomo spalmato di miele e sepolto in un formicaio. I cronisti guardavano dall’alto delle loro torri d’avorio, criticando le risposte di T’uupieh e le sue, e riempivano gli spazi di tempo fra una domanda e l’altra, quando lui avrebbe avuto più necessità di riflettere, con interruzioni che lo facevano infuriare. Il successo di Reed nello spremere ogni goccia di pathos e d’interesse «umano» dalla sua lotta per impedire la vendetta di T’uupieh contro degli innocenti era stato totale… e proprio in tal modo era riuscito a farlo fallire.
No. Egli si rizzò a sedere, cercando di alleviare la pressione sulla schiena. Non poteva farne colpa a Reed. Quando finalmente ciò che lui rispondeva era diventato realmente importante, i cronisti avevano smesso di ascoltarlo. Il fallimento era suo, soltanto suo: la sua abilità non era bastata, il suo messaggio non era stato abbastanza convincente, lui, soltanto lui non era stato capace di vedere con sufficiente chiarezza attraverso gli occhi di T’uupieh, cosicché lei vedesse attraverso i suoi. Egli aveva avuto questa possibilità di comunicare veramente, per una volta nella sua vita: di comunicare qualcosa d’importante. E aveva fatto fiasco.
Una mano gli comparve davanti e appoggiò una tazza di caffè fumante sulla mensola sotto il terminal. — C’è una cosa buona in questo computer — mormorò una voce. — È programmato per una buona tazza di caffè.
Egli scoppiò a ridere, stupito per questo suo atto istintivo; alzò gli occhi. Il volto di sua madre era stanco e tirato, e lei reggeva un’altra tazza di caffè in mano. — Grazie. — Egli prese la propria tazza e ne inghiottì un sorso, sentì il liquido caldo che gli scivolava nello stomaco vuoto. Senza sollevare un’altra volta gli occhi, disse: — Be’, hai avuto quello che volevi. E così anche Reed. Ha avuto tutte le emozioni che voleva, e anche i suoi assassinili.
Lei scosse la testa: — Non è questo che volevo. Non voglio vederti rinunciare a tutto quello che hai fatto qui, soltanto perché non ti piace il modo in cui Reed se ne serve. Non vale la pena che tu rinunci per questo. Il tuo lavoro significa troppo per questo progetto… e significa troppo per te.
Egli tornò ad alzare lo sguardo.
— Ja — s’intromise Garda. — Tua madre ha ragione, Shannon. Non puoi andartene adesso; abbiamo troppo bisogno di te. E anche T’uupieh ha bisogno di te.
Egli rise di nuovo, senza volerlo: — Come uno jo-jo di cemento. Che cosa stai cercando di fare, Garda… di usare il mio moralizzare contro di me?
— Ti sta dicendo ciò che anche un cieco potrebbe vedere stanotte… se non l’avesse visto già molti mesi fa… — La voce di sua madre suonava stranamente remota. — Che questo progetto, cioè, non avrebbe ottenuto i suoi incredibili risultati senza di te. E che avevi ragione, circa il sintetizzatore. E che perderti adesso potrebbe…
S’interruppe, voltandosi a guardare Reed che stava entrando dalla porta in fondo. Una volta tanto era solo, e niente affatto inappuntabile. Shannon intuì che doveva essere addormentato quando gli era giunta la telefonata, e si sentì irrazionalmete contento per averlo svegliato in quel modo.
Reed non era altrettanto contento. Shannon osservò la sua fronte corrugata, che poteva essere o no un segno di preoccupazione, o di dispiacere, o di entrambi, mentre egli attraversava la stanza echeggiante, diretto verso di loro. — Che cosa intendi dire, con questa dichiarazione che vuoi andartene? Soltanto perché non riesci a far cambiare idea a una mente aliena? — Infilò la testa nel cubicolo e scrutò il terminal per assicurarsi che tutti i microfoni collegati con l’esterno della stanza fossero spenti, immaginò Shannon. — Sapevi che era una cosa azzardata, probabilmente senza speranza… Devi accettare il fatto che lei non vuole cambiare, devi renderti conto che i valori di una cultura aliena possono essere diversi dai nostri…
Shannon tornò a lasciarsi andare contro lo schienale, un muscolo all’interno del suo gomito aveva preso a contrarsi per la fatica. — Questo posso accettarlo. Ciò che non posso accettare è che tu voglia trasformarci in un branco di dannati mezzani. Cristo! E non hai neppure un briciolo di giustificazione! Io non sono venuto qui per comporre la colonna sonora di un film di omicidi. Se hai intenzione d’insistere e di dare in pasto al mondo questo massacro, io ne esco fuori. Non ho alcuna intenzione di rinunciare, ma non voglio restare per un carnevale di porno-uccisioni!
Le rughe di Reed si fecero più profonde, ed egli volse lo sguardo altrove. — Be’, e gli altri? Anche voi, nel vostro intimo, mi tacciate di complicità in questi assassinii? Carly?
— No, Marcus… non esattamente. — Ella scosse la testa. — Ma tutti noi sentiamo che non dovremmo screditare la nostra ricerca facendo di essa uno spettacolo pubblico. Dopotutto la gente di Titano ha diritto alla sua privacy e al rispetto come qualunque altra cultura sulla Terra.
— Ja, Marcus… credo che siamo tutti d’accordo su questo.
— E quant’è, secondo voi, la privacy di cui oggigiorno chiunque può disporre sulla Terra? Buon Dio, ricordate il Tasaday? Ed è stato trent’anni fa. Non rimane una singola cima montana o un’isola deserta che l’occhio onnipresente delle telecamere non abbia trasmesso in tutto il mondo. E come chiamereste le leggi sulla prevenzione dei crimini? La nostra vita è tutta una serie di buchi di serratura dove in qualunque momento un occhio vi può guardare.
Shannon scosse la testa: — Questo non significa che noi dobbiamo…
Reed si girò a fissarlo, gelido: — E ne ho piene le tasche di quella tua compassione da piccolo fesso furbastro, Wyler. A che cosa devi il tuo successo come musicista se non alla pubblicità? — Indicò con un gesto i manifesti alle pareti. — C’è più battage pubblicitario per vendere il tuo tipo di musica che per qualunque altro strimpellatore!
— Devo rassegnarmi a una qualche spinta pubblicitaria, altrimenti non potrei arrivare alla gente, non potrei fare quello che è importante per me: comunicare. Questo non significa che mi piaccia.
— Credi che a me piaccia?
— Non ti piace?
Reed esitò. — Si dà il caso che io sia in gamba in questo mestiere, il che è quello che conta veramente. Anche se tu non ci crederai, io sono pur sempre uno scienziato, e quello che m’importa di più è assicurarmi che la ricerca ottenga la sua fetta di torta. Tu dici che non ho alcuna giustificazione per propagandare così le nostre scoperte. Ti rendi conto che la NASA ha perso tutti i dati della nostra sonda di Nettuno solo perché qualcuno ci ha tagliato i fondi? Il vero problema di queste lunghe missioni lontane dal nostro pianeta non è nel corretto funzionamento degli strumenti, ma nell’affidabilità finanziaria. Il pubblico è disposto a pagare milioni per uno dei tuoi concerti, ma neppure un centesimo per qualcosa che non capisce…
— Io non…
— La gente vuol dimenticare i propri guai, divertirsi… e chi può biasimarla? Perciò, per competere con i film, con gli spettacoli sportivi, e con la gente come te, gli astri della musica e delle canzoni, per non parlare di altre diecimila meritevoli cause pubbliche e private, noi dobbiamo dare al pubblico ciò che vuole. È mia responsabilità offrire al pubblico questo prodotto, cosicché i «veri scienziati» possano starsene seduti nei loro istituti lustri e luminosi, con mezzo miliardo di dollari di apparecchiature intorno a loro, a parlare di «rispetto per la ricerca»!
Fece una pausa, mentre Shannon continuava a fissarlo ostinatamente. Poi aggiunse: — Pensaci. E quando saprai dirmi in qual modo ciò che hai fatto come musicista è moralmente superiore a quello che stiamo facendo adesso, o più valido, potrai venire nel mio ufficio e dirmi chi è il vero ipocrita. Ma prima pensaci bene… pensateci bene tutti. — Quindi Reed si voltò e uscì dalla stanza.
Stettero in silenzio finché le ante della porta in fondo alla stanza smisero di oscillare. — Be’… — Garda fissò il suo bastone da passeggio, poi abbassò lo sguardo sul suo maglione. — Un punto a suo favore.
Shannon si sporse in avanti, facendo passare le dita sulla complessa, affascinante struttura del sintetizzatore, mentre la mescolanza degli effetti del disappunto e della caffeina ricacciavano indietro la fatica. — Sì, lo so. Ma non è questo che mi sforzavo di dire! Io non volevo far cambiare idea a T’uupieh, o andarmene da questo progetto perché trovo insopportabile che tutto ciò sia offerto al pubblico. È il modo in cui viene venduto, come una specie di spettacolo di perversioni porno-omicide, che non posso sopportare… — Ricordò quel certo tipo di notorietà di cui avevano goduto i concerti rock, quando lui era bambino; ma adesso apparivano rispettabili quanto un concerto di musica sinfonica, paragonati agli «spettacoli elettrizzanti» che li avevano eclissati man mano che lui era cresciuto, dove i protagonisti rischiavano la propria vita per un premio d’un milione di dollari davanti a una folla che interveniva sbavando all’idea di vederli perdere; dove i masochisti si guadagnavano da vivere automutilandosi; dove si proiettavano i film-verità di massacri e di morte.
— Voglio dire, è questo che tutti vogliono veramente? Davvero tutti si sentono meglio guardando il sangue che sprizza dal corpo dei loro simili? Oppure adesso si pensa, addirittura, che noi ne trarremo una sorta di superiorità morale, nel vederlo accadere su Titano, invece che quaggiù? — Si voltò a fissare lo schermo, dove T’uupieh continuava a dormire, immobile e irremovibile. — Se riuscissi a far cambiare idea a T’uupieh, oppure a far cambiare ciò che sta accadendo qui, allora, forse, potrei sentirmi soddisfatto, sì… sentirmi meglio. Se non altro di fronte a me stesso. Ma… — scosse la testa, — … chi sto prendendo in giro, parlando così? — T’uupieh aveva avuto ragione fin dall’inizio, e adesso anche lui era costretto ad ammetterlo: non c’era mai stato alcun modo di cambiare l’una o l’altro. — T’uupieh non è un mostro, semplicemente è come tutti loro, preferirebbero tagliarsi la mano, piuttosto che stringertela… E facendo lo stesso per interposta persona, significa che noi non siamo migliori. E che nessuno di noi lo sarà mai. — Le parole di una canzone più vecchia di lui gli si insinuarono nella mente, con improvvisa ironia: — «Le mani di un solo uomo non possono… — egli cominciò a spegnere il terminal, — … costruire tutto».
— Hai bisogno di dormire… tutti abbiamo bisogno di dormire. — Garda si alzò dalla sedia con movimenti rigidi.
— «… Ma uno e uno e uno e cinquanta fanno un milione» — fece sua madre a bassa voce, continuando inaspettatamente la citazione.
Shannon si girò a guardarla, la vide scuotere la testa; lei sentì che lui la stava guardando e alzò gli occhi. — Dopotutto, se T’uupieh avesse potuto accettare che tutto ciò che lei faceva era moralmente cattivo, allora che cosa sarebbe avvenuto di lei? Lo sapeva fin troppo bene: ne sarebbe stata distrutta… noi l’avremmo distrutta. Sarebbe stata spazzata via, finendo affogata nella marea della violenza. — Sua madre guardò Garda, poi riportò lo sguardo su di lui: — T’uupieh, a prescindere da ogni altra cosa, è una realista.
Egli sentì stringersi la sua bocca contro il risentimento in cui si estrinsecava un’emozione più profonda e più dolorosa; sentì il grugnito d’indignazione di Garda.
— Ma questo non significa che tu ti sia sbagliato o abbia fallito.