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— Ma, Henry, questa è casa mia e nessuno ha il diritto di farmela a pezzi.

— Accidenti — disse il colonnello. — Quello che voglio sapere, Taine, è che cos’è quella roba che non siamo riusciti a rompere!

— Calmati un momento, Hiram — ammonì Henry. — Abbiamo un nuovo grande mondo che ci aspetta là fuori.

— Non sta aspettando te né nessun altro — gridò Taine.

— E noi dobbiamo esplorarlo e per esplorarlo abbiamo bisogno di una bella riserva di benzina. Così, dal momento che non possiamo usare una cisterna, mettiamo insieme quanti più bidoni sia possibile dall’altra parte e poi facciamo passare di qui un condotto.

— Ma, Henry…

— Vorrei che tu la smettessi di interrompermi e mi lasciassi dire — osservò severo Henry. — Non puoi nemmeno immaginare i problemi logistici che dobbiamo affrontare. Siamo incastrati dalle dimensioni di quella porta; dobbiamo portare là fuori delle provviste e dei mezzi di trasporto. Macchine e camion non saranno un problema: possiamo smontarli e portarli di là a pezzi. Invece sarà un guaio con gli aerei.

— Ascolta un po’ me, Henry. Nessuno farà passare di qui un aereo. Questa casa è della mia famiglia da almeno un centinaio d’anni e adesso è mia e ho dei diritti io e tu non puoi venir qui a fare il prepotente e a farmi passare la roba dentro casa.

— Però — disse Henry in tono lamentoso — abbiamo davvero bisogno d’un aereo. Quando hai un aereo puoi andare assai più lontano.

Beasly attraversò la cucina sbatacchiando i suoi bidoni ed entrò nel soggiorno.

Il colonnello sospirò. — Speravo, signor Taine, che avrebbe capito com’è la questione. Secondo me è molto chiaro che è suo dovere di patriota cooperare con noi in questa faccenda. Il governo, naturalmente, potrebbe esercitare il diritto di pubblico interesse ed espropriare la casa, ma non vorrebbe arrivare a tanto. È ovvio che io sto parlando soltanto in via ufficiosa, ma penso sia opportuno dirle che il governo preferirebbe arrivare a un accordo amichevole.

— Dubito che il diritto di pubblico interesse possa essere applicato — rispose Taine bluffando, senza saper nulla sull’argomento. — Se non sbaglio, si applica alle costruzioni e alle strade che…

— Questa è una strada — affermò perentoriamente il colonnello. — Una strada che attraverso la sua casa conduce a un altro mondo.

— Prima di tutto — dichiarò Taine — il governo dovrebbe dimostrare che è di pubblico interesse e che il rifiuto del proprietario di rinunziare al suo costituisce una interferenza nella procedura governativa e…

— Credo che il governo — affermò il colonnello — possa provare il pubblico interesse.

— Credo che farò meglio a cercarmi un avvocato — rispose irato Taine.

— Se proprio lo vuoi fare — si offerse Henry, sempre servizievole — e vuoi trovarne uno buono… e suppongo di sì… sarò lieto di raccomandarti uno studio che, ne sono sicuro, potrà difendere i tuoi interessi nel modo migliore ed essere, nello stesso tempo, di un costo abbastanza equo.

Il colonnello si alzò in piedi, fremente. — Avrà molte cose a cui rispondere, Taine. Ci sono un mucchio di cose in cui il governo vorrà vederci chiaro. Prima di tutto, vorranno sapere come sia riuscito a mettere in piedi una cosa del genere. È pronto a rispondere?

— No, non credo di esserlo — rispose Taine.

Un po’ allarmato cominciò a riflettere: pensano che sia stato io a farlo e mi piomberanno addosso come un branco di lupi per scoprire come ho fatto. Gli apparvero alla mente l’FBI, il dipartimento di Stato, il Pentagono e, per quanto fosse già seduto, gli vennero meno le gambe.

Il colonnello si voltò, marciò altero fuori dalla cucina e uscì dalla porta sul retro, sbattendo la porta. Henry guardò interrogativamente Taine.

— Vuoi davvero farlo? — gli chiese. — Intendi proprio metterti contro quelli?

— Mi fanno incavolare — rispose Taine. — Non possono venire qui a prendere il mio posto senza neppure chiedermi il permesso. Non me ne frega di quello che possono pensare gli altri, questa è casa mia. Io sono nato qui e qui ho passato tutta la vita, il posto mi piace e…

— Certo — disse Henry — certo, so bene, che cosa provi.

— Può darsi che sia infantile da parte mia, ma non me la prenderei tanto se mostrassero appena un po’ di buona volontà di sedersi e discutere delle loro intenzioni una volta che abbiano preso il mio posto. Ma qui mi pare che non ci sia la minima intenzione neppure di chiedermi che cosa ne penso. E te lo dico io, Henry, la cosa è ben diversa da quel che sembra. Quello non è un posto dove noi possiamo entrare e impadronircene, checché ne pensi Washington. C’è qualcosa là fuori e noi faremmo bene ad andarci cauti.

— Stavo pensando — lo interruppe Henry — mentre sedevo qui, che la tua posizione è la più lodevole e meritevole di appoggio. Mi è venuto in mente che sarebbe da parte mia assai poco amichevole starmene qui seduto e lasciarti solo a combattere. Insieme possiamo assumere una bella squadra di cervelloni per farci vincere la battaglia legale e intanto mettiamo su una società fondiaria; così saremo sicuri che questo tuo mondo nuovo sia usato nel modo giusto… È evidente, Hiram, che io sono l’unico che possa sostenerti, fianco a fianco, in questa faccenda, dal momento che siamo già soci in quella del televisore.

— Cos’è ’sta storia del televisore? — sbraitò Abbie, sbattendo un piatto di frittelle davanti al naso di Taine.

— Ma, Abbie — disse Henry pazientemente — ti ho già spiegato che il tuo apparecchio televisivo sta dietro a quel tramezzo giù nello scantinato e non si può affatto dire quando potremo riaverlo.

— Sì, lo so — disse Abbie, portando un piatto di salumi; poi versò una tazza di caffè.

Beasly arrivò dal soggiorno e uscì dal retro zufolando.

— Dopo tutto — aggiunse Henry, sfruttando il suo vantaggio — suppongo di averne qualche diritto. Dubito che tu avresti potuto far molto se non ti avessi mandato quel calcolatore.

Ci siamo di nuovo, pensò Taine. Persino Henry pensava che fosse stato lui a combinar tutto.

— Ma Beasly non te l’ha detto?

— Beasly dice un mucchio di cose, ma sai bene che tipo è Beasly.

Questo spiegava tutto, naturalmente. Per quelli giù in paese non sarebbe stata altro che un’ennesima storiella di Beasly… un’altra fandonia che Beasly aveva inventato. Non ce n’era uno che credesse una parola di quanto Beasly andava dicendo.

Taine sollevò la tazza e bevve il suo caffè, cercando di guadagnar tempo per mettere insieme una risposta che non riusciva a trovare. Se avesse detto la verità, sarebbe suonata assai più incredibile di qualunque bugia.

— Puoi dirmelo, Hiram. Dopo tutto, siamo soci.

Crede di farmi su come un fesso, pensò Taine. Henry pensa di riuscire a far su come un fesso chiunque voglia.

— Se te lo dicessi non mi crederesti, Henry.

— Bene — disse Henry rassegnato, alzandosi in piedi — penso che una parte di questa faccenda possa aspettare.

Beasly riattraversò la cucina con gran fracasso, portando un altro carico di bidoni.

— Devo avere un po’ di benzina — disse Taine — se voglio andare fuori a cercare Towser.

— Me ne occupo immediatamente — promise Henry con voce melliflua. — Ti mando Ernie con l’autocisterna: possiamo far passare un condotto per di qua e riempire quei bidoni. E vedrò anche se riesco a trovare qualcuno che voglia accompagnarti.

— Non è necessario. Posso andare da solo.

— Se avessimo una radio trasmittente, potremmo tenerci in contatto.

— Ma non ne abbiamo E poi, Henry, non posso aspettare. Towser è là fuori, da qualche parte.

— Certamente, so bene quanto ci tieni a lui. Vai fuori a cercarlo se pensi di doverlo fare e io mi occupo delle altre questioni. Ti metto insieme qualche avvocato e così buttiamo giù un abbozzo di statuto per la nostra società fondiaria…

— Senti, Hiram — interruppe Abbie. — Ti spiace fare qualcosa per me?

— Perché? Ma certo — rispose Taine.

— Dovresti parlare a Beasly. Si comporta in maniera insensata; non c’era nessun motivo perché dovesse pigliar su e andarsene. Posso essere stata un po’ brusca con lui, ma è talmente povero di spirito che se l’è presa. È corso via e ha passato mezza giornata aiutando Towser a stanare quella marmotta e…