124246.fb2 La luna dei cacciatori - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 5

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— A’i’ach è ferito! La sua gente non sa nulla di medicina. Se tu non avessi continuato a vaneggiare al punto da spingermi a farti tornare qui con me prima che finissi per far precipitare il tuo velivolo… — Jannika s’interruppe, serrò i pugni ed alla fine riuscì a dire: — Bene, ormai il male è fatto e noi siamo qui. Vogliamo cercare di ragionare e di scoprire che cosa è andato storto, in modo da impedire il verificarsi di un altro orrore del genere, oppure no?

— Sì, naturalmente. — Hugh si avvicinò alla credenza. — Vuoi qualcosa da bere?

— Vino — rispose Jannika, dopo un’esitazione.

Hugh le portò un bicchiere colmo, stringendo nella destra un boccale di whisky puro che cominciò subito a bere.

— Ho sentito Erakoum morire.

— Sì — replicò Jannika, prendendo una sedia, — ed io ho sentito A’i’ach ricevere ferite che si potrebbero rivelare letali. Siedi, ti spiace?

Hugh sedette pesantemente di fronte a lei, trangugiando sorsate di liquore mentre sua moglie sorseggiava il vino. I nuovi arrivati su Medea sostenevano sempre che vini e liquori assumevano su quel pianeta un sapore più strano di quello dei cibi, ed un poeta aveva preso da questo lo spunto per una raggelante composizione sull’isolamento. Quando la poesia era stata inviata sulla Terra insieme alle altre notizie, la risposta, giunta dopo un secolo, era stata che nessuno riusciva a capire cosa i coloni trovassero in quel fenomeno.

— Bene — ringhiò Hugh, incurvando le spalle. — Dovremmo confrontare le nostre osservazioni prima di cominciare a dimenticare, e magari dovremmo confrontarle nuovamente domattina, quando avremo la possibilità di riflettere. — Allungò la mano verso il registratore e lo accese; la sua voce rimase opaca mentre pronunciava una frase di identificazione.

— È la cosa migliore anche per noi — gli rammentò Jannika. — Lavorare, pensare logicamente… queste cose tengono lontano gli incubi.

— E questo lo è certamente stato… D’accordo… — Hugh aveva recuperato un po’ d’energia. — Cerchiamo di ricostruire quello che è successo.

«Gli uranidi erano a caccia di lucciole ed i dromidi erano a caccia di uranidi, e tu ed io abbiamo assistito ad uno scontro. Naturalmente, speravamo che non ci sarebbe capitato… suppongo che tu abbia addirittura pregato perché non accadesse… ma sapevamo che ci sarebbero stati atti di ostilità in molti posti. Quello che ci ha sconvolti è stato il fatto che i nostri due personali nativi hanno preso parte alla lotta, mentre erano in collegamento con noi.

— Ancora peggio — corresse Jannika, mordendosi un labbro. — Quei due stavano cercando lo scontro: non è stato un incontro casuale, ma un duello. — Sollevò lo sguardo. — Non hai mai detto ad Erakoum, a nessun dromide, che eravamo in collegamento anche con un uranide, vero?

— No, certo che no. E tu non hai certo detto al tuo uranide del mio contatto: sapevamo entrambi che non era il caso di inserire quel tipo di variabile in un programma come questo.

— Ed il resto del personale della stazione ha un vocabolario troppo limitato in entrambe le lingue. Molto bene. Ma io ti posso assicurare che A’i’ach lo sapeva, anche se io non me ne sono resa conto fino a quando il combattimento non ha avuto inizio. Solo allora questo concetto è affiorato nella sua mente, come un urlo diretto a me, non espresso a parole, ma che non poteva essere frainteso.

— Sì, anche a me è successa più o meno la stessa cosa con Erakoum.

— Ammettiamo dunque quello che non vogliamo ammettere, mio caro: non abbiamo semplicemente ricevuto concetti dai nostri nativi, abbiamo anche trasmesso dei dati.

— Ma cosa diavolo potrebbe trasmettere un messaggio di ritorno? — obiettò Hugh, sollevando un pugno impotente.

— Se non altro, il raggio radio che ci collega ai nostri soggetti. Una modulazione indotta. Lo sappiamo dall’esempio delle larve di lucciole, ed indubbiamente ci sono altri casi di cui tu ed io non abbiamo mai sentito parlare… e come potremmo sapere tutto riguardo ad un intero mondo? Sappiamo che gli organismi di Medea possono essere estremamente sensibili alle onde radio.

— M… m, già, la terrificante velocità degli animali medeani, le molecole chiave più labili dei corrispondenti composti nel nostro organismo… Ehi, aspetta! Né Erakoum né A’i’ach avevano più di un’infarinatura d’inglese, e certo non conoscevano il ceco, lingua in cui tu mi hai detto che sei solita pensare. Inoltre, guarda quanti sforzi abbiamo dovuto fare prima di riuscire a sintonizzarci su di loro, nonostante tutto quello che avevamo imparato sul continente, e loro due non avevano ragione di fare lo stesso, non avevano la minima idea di cosa fosse un metodo scientifico. Devono sicuramente aver supposto che noi volessimo far portare loro addosso quegli oggetti per un capriccio o per una sorta di magia.

— Forse — replicò Jannika scuotendo le spalle, — durante i rapporti di collegamento pensiamo nella loro lingua più di quanto ci rendiamo conto noi stessi. Ed entrambe le razze di Medeani pensano più rapidamente di noi umani, osservano, imparano. Comunque, non dico che il loro contatto con noi era altrettanto buono quanto quello che noi avevamo con loro. Se non altro, l’ampiezza delle onde radio è molto più ristretta: io credo che presumibilmente abbiano raccolto da noi messaggi subliminali.

— Credo che tu abbia ragione — sospirò Hugh. — Dovremo consultare esperti di elettronica e di neurologia sul problema, ma certo non riesco a trovare una spiegazione migliore della tua. — Hugh si sporse in avanti, e l’energia che ora gli vibrava nella voce assunse una nota fredda. — Ma cerchiamo di vedere questo fenomeno nel suo contesto, in modo da arrivare forse ad intuire il tipo d’informazioni che i nativi possono aver ricevuto da noi. Chiariamo ancora una volta perché su Hansonia dromidi ed uranidi sono in guerra: fondamentalmente, i dromidi si stanno estinguendo e ne danno la colpa agli uranidi, ma non potrebbe essere colpa di noi di Port Kato?

— È difficile. — Jannika era sconcertata. — Sai quali precauzioni prendiamo.

— Sto pensando ad una contaminazione psicologica — replicò Hugh, sorridendo senza allegria.

— Cosa? Impossibile! In nessun altro luogo su Medea…

— Vuoi tacere? — gridò Hugh. — Sto cercando di ricordare quello che ho appreso dalla mia amica che è stata uccisa dal tuo amico.

Jannika si alzò a mezzo sulla sedia, bianca in volto, poi tornò a sedersi ed attese, il bicchiere di vino che le tremava in mano.

— Hai sempre farfugliato quanto gli uranidi siano dolci e gentili ed estetici — cominciò Hugh, contro di lei piuttosto che a lei. — Andavi in deliquio di fronte a questa nuova e splendida fede locale che essi hanno acquisito… il volo sulle ali del vento fino al Farside, la morte dignitosa, il Nirvana e non mi ricordo cos’altro. All’inferno quegli sporchi dromidi, i dromidi non fanno altro che costruirsi attrezzi, accendere fuochi, cacciare, prendersi cura dei loro piccoli, vivere in comunità, creare forme d’arte e filosofia, come noi umani. Cosa c’è d’interessante in questo?

«Ebbene, permettimi di ripeterti quello che ti ho già detto in precedenza, e cioè che anche i dromidi hanno le loro credenze, e che, se potessimo fare un paragone, sarei pronto a scommettere che la loro fede è più forte e significativa di quella degli uranidi, perché i dromidi cercano di dare senso al mondo. Non puoi simpatizzare almeno un poco con loro?

«Bene, loro hanno un tremendo rispetto per la stabilità delle cose, e quando qualcosa va seriamente per il verso sbagliato… quando si verifica un grande crimine o un peccato o una vergogna… l’intero mondo ne soffre: se quel torto non verrà riparato, tutto andrà per il peggio. Questo è quello che i dromidi credono su Hansonia, e per quel che ne so io potrebbero anche aver scoperto la verità.

«Gli alteri uranidi non hanno mai prestato molta attenzione ai terricoli dromidi, ma questo comportamento non era simmetrico: per i dromidi, gli uranidi sono altrettanto rilevanti quanto Argo, Colchis, ogni parte della natura, e, ai loro occhi, anch’essi hanno un posto ed un ciclo prestabilito.

«Tutt’ad un tratto, gli uranidi cambiano, smettono di restituire i loro corpi alla terra quando muoiono, nel modo in cui ci si aspetta facciano tutte le forme di vita… no, si dirigono invece ad ovest, oltre l’oceano, verso quel luogo sconosciuto dove il sole tramonta tutte le sere. Non riesci a capire quanto questo può apparire innaturale? Come se un albero si mettesse a camminare o un cadavere resuscitasse. E non è neppure un incidente isolato… no, la cosa si sta verificando anno dopo anno dopo anno.

«Aborto psicosomatico? Come posso dirlo? Quello che posso dire è che i dromidi sono profondamente traumatizzati per via di questo comportamento degli uranidi: non importa quanto questo comportamento sia ridicolo, esso li ferisce!

Jannika balzò in piedi, lasciando cadere al suolo il bicchiere.

— Ridicolo? — gridò. — Quel Tao, quella visione? No, ridicolo è ciò che credono le tue… le tue volpi, se non fosse per il fatto che questo le spinge ad assalire esseri innocenti ed a divorarli… non posso aspettare fino a quando quelle creature si saranno estinte!

— A te non importa dei piccoli che muoiono! — Hugh si era alzato in piedi a sua volta. — No, naturalmente no: che senso di maternità hai mai avuto, per l’inferno? All’incirca quanto ne può avere uno di quei palloni! Volare libera, spargere il seme e dimenticarsene, tanto esso fiorirà e sboccerà per essere adottato dallo Sciame, e senza pensare mai ad altro che al piacere!

— Come… staresti forse desiderando di poter essere una madre? — lo schernì Jannika.

La mano libera di Hugh sferrò un colpo nella sua direzione, e la donna lo evitò per un pelo: sconvolti, i due rimasero immobili e rigidi dove si trovavano. Hugh tentò di parlare, non vi riuscì e preferì bere il whisky.

— Hugh — disse Jannika, a voce bassissima, dopo un intero minuto, — i nostri nativi ricevevano messaggi da noi: non verbali, ma inconsci. Per mezzo loro… — la sua voce si fece soffocata, — … stavamo forse cercando di ucciderci a vicenda?

Hugh la fissò a bocca aperta, poi, in un unico e goffo gesto, depose il bicchiere e le tese le braccia.

— Oh, no, oh, no! — balbettò, mentre Jannika si stringeva a lui.

Alla fine andarono a letto. Hugh attinse dalla cassetta dei medicinali quando si accorse di non riuscire a nulla, ma quello che seguì sarebbe potuto accadere fra due automi. Alla fine, Jannika rimase distesa a piangere in silenzio mentre lui si alzava per bere ancora.

Fu il vento a svegliarla, e Jannika rimase distesa per qualche tempo ad ascoltare il suo battere contro le pareti mentre il sonno l’abbandonava, poi aprì gli occhi e guardò l’orologio, le cui lancette luminose le dissero che erano trascorse tre ore. Tanto valeva che si alzasse: forse avrebbe potuto aiutare Hugh a sentirsi meglio.

La luce nella stanza principale era ancora accesa, e Hugh era addormentato, disteso su una poltrona accanto alla quale c’era una bottiglia; Jannika notò quanto fossero profonde le rughe che segnavano il volto del marito.

Il vento era molto forte: forse si trattava di una tempesta che il servizio metereologico aveva segnalato sul mare e che doveva aver inaspettatamente deviato in quella direzione; la metereologia su Medea non era una scienza esatta. Poveri uranidi, i festeggiamenti rovinati e loro stessi soffiati in giro e dispersi, perfino messi in pericolo di vita! In genere erano in grado di volare con la bufera, ma alcuni di loro sarebbero andati incontro al disastro, sbattendo contro la parete di qualche collina o impigliandosi senza speranza in un albero o venendo colpiti dal fulmine. Ed i malati ed i feriti avrebbero sofferto più di tutti.

A’i’ach.

Jannika serrò gli occhi e lottò per ricordarsi quanto fossero gravi le ferite di A’i’ach, ma tutto era stato così confuso e terribile, e Hugh aveva fatto deviare la sua attenzione, così si era venuta a trovare ben presto fuori dal raggio di trasmissione. Inoltre, A’i’ach stesso non poteva aver determinato immediatamente le proprie condizioni: poteva essere grave come poteva anche non esserlo. Poteva essere ormai morto, oppure morente, o condannato a morire se non avesse ricevuto aiuto immediato.

E lei era responsabile… forse non colpevole secondo una definizione moralistica, ma certo responsabile. La decisione si cristallizzò in Jannika: se il tempo non lo avesse impedito, sarebbe andata a cercarlo.

Da sola? Sì: Hugh l’avrebbe protetta, ritardata, forse le avrebbe addirittura impedito con la forza di andare. Jannika registrò un breve messaggio per lui, si chiese se quelle parole non erano eccessivamente impersonali, poi decise che non era il caso di lasciare una frase più affettuosa. Sì, voleva una riconciliazione e supponeva che la volesse anche lui, ma non intendeva umiliarsi. Riordinò il proprio equipaggiamento ed aggiunse una giacca, nelle cui tasche infilò alcune sbarre di cibo, quindi uscì.

Fuori, il vento l’avvolse con un cupo sibilio, un torrente che doveva affrontare; le nubi si spostavano basse e fitte, tinte di rosso là dove Argo faceva capolino: il gigantesco pianeta sembrava volare fra quei veli lacerati. La polvere rotolava per il cortile, ruvida sulla pelle; ed in giro non c’era nessuno.

Una volta nell’hangar, Jannika richiese le ultime previsioni del tempo: erano brutte ma, pensò, non terrificanti. (E, anche ammesso che fosse precipitata, sarebbe stata forse una perdita enorme, per lei o per altri?)