124246.fb2 La luna dei cacciatori - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 3

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Per un istante, Erakoum rimase avvinta da quell’immagine, dalla vista di sfere che viaggiavano in spazi senza confini ed in cerchi racchiusi in altri cerchi. Erakoum sperava di divenire a sua volta un pensatore, ma questo non poteva accadere presto: doveva prima superare il suo secondo parto, doveva dare alla vita il suo secondo segmento e proteggerlo, quella giovane vita che attualmente custodiva in sé e che stava aiutando a crescere. Poi, sarebbe diventata un maschio, ed avrebbe dovuto assolvere al compito della procreazione da quella prospettiva diversa… prima che anche quella necessità svanisse e ci fosse finalmente tempo per la serenità.

Rammentò con una fitta di dolore come il suo primo parto fosse stato inutile. Il segmento da lei generato si era mosso barcollando per qualche tempo prima di distendersi e morire come stava accadendo a molti altri. Erano stati i Volatori a provocare quella maledizione, dovevano essere stati loro, come predicava il Profeta Illdamen: la loro nuova abitudine di volare ad ovest per non tornare più, quando invecchiavano, invece di sprofondare nel terreno e marcire come era volontà di Mardudek, doveva certo aver fatto infuriare la Sentinella Rossa, ed al Popolo era stato affidato il compito di vendicare quel peccato commesso contro l’ordine naturale delle cose. La prova di ciò stava nel fatto che le femmine che uccidevano e mangiavano un Volatore poco tempo prima di accoppiarsi generavano sempre segmenti sani da cui derivavano quindi piccoli vitali.

Erakoum giurò a se stessa che quella notte sarebbe riuscita anche lei a fare una cosa del genere.

Si arrestò per riprendere fiato e per osservare il terreno circostante: quei precipizi limitavano un fiordo le cui acque erano più placide di quelle del mare antistante, brillanti sotto la luce proveniente da est. Una macchia scura indicava un ammasso di canne galleggianti: poteva trattarsi delle piante da cui i Volatori sbocciavano nella loro abominevole infanzia? Erakoum non era in grado di dirlo, da quella distanza; talvolta, coraggiosi appartenenti alla sua razza si erano avventurati in acqua su tronchi nel tentativo di raggiungere e distruggere quei letti di canne, ma avevano fallito e spesso erano annegati a causa di grandi onde traditrici.

Ad occidente si levavano alte e scoscese colline alberate dove regnava l’oscurità; trasversalmente alle loro ombre, danzavano migliaia di fiammelle dal bagliore dorato… milioni di esse. Erano bachi di fuoco: per più di cento giorni e notti, essi erano stati dapprima uova e poi vermi che vivevano nel profondo del fango della foresta, ma ora Sarhouth stava attraversando la superficie di Mardudek nell’esatto e misterioso modo che serviva a convocare quelle creature, le quali strisciavano in superficie, distendevano le ali che erano frattanto cresciute sui loro corpi e si levavano luminose in volo, per accoppiarsi.

In passato, quello era stato soltanto uno spettacolo affascinante per il Popolo, ma poi era sorta la necessità di uccidere i Volatori,… ed i Volatori si radunavano sempre in orde per cibarsi di quegli sciami luminosi. Tenendosi bassi e divenendo imprudenti per la gioia, essi divenivano più vulnerabili alle sorprese di quanto lo fossero di solito; Erakoum agitò in aria un giavellotto dalla punta di ossidiana. Ne aveva altri cinque assicurati sulla schiena, e, anche se parecchi del Popolo avevano impiegato quella giornata a tendere reti e trappole, lei considerava poco pratico quel metodo di caccia, perché i Volatori non erano una normale preda alata. E comunque, quella notte voleva lanciare la sua arma, abbattere una vittima ed affondare le zanne nella carne sottile, tutto da sola!

La notte mormorava intorno a lei, ed Erakoum beveva avidamente gli odori del suolo, odori di crescita e di decomposizione, di nettare e di sangue, di sforzi compiuti. Il calore proveniente da Mardudek trapelava nella fredda brezza a bagnarle il pelo, mentre le sagome appena intraviste o udite quando si spostavano fra i cespugli, erano quelle dei suoi compagni: essi non erano raccolti in un unico gruppo, ed avanzavano ciascuno a suo modo, ma si mantenevano sempre più o meno a portata d’orecchio, e quello che avesse per primo avvistato o fiutato un Volatore lo avrebbe segnalato con un fischio.

Erakoum era più separata degli altri dai suoi compagni, perché questi temevano di poter essere traditi dal raggio di luce che scaturiva dal piccolo contenitore sulla sua testa, cosa che lei riteneva improbabile, considerato quanto era debole quel raggio azzurrino. L’umano chiamato Hugh l’aveva pagata bene in termini di merci di scambio perché portasse il talismano ogni volta che lui glielo chiedeva e poi discutesse con lui le proprie esperienze. Da parte sua, Erakoum sperimentava in quelle occasioni un oscuro senso di eccitazione che non somigliava a null’altro al mondo, ed il sapere entrava in lei, come in sogno ma in modo più reale: questi vantaggi valevano bene una leggera difficoltà nel corso di qualche caccia occasionale… anche durante la caccia di stanotte.

Inoltre… c’era qualcosa che non aveva detto ad Hugh, perché lui non gliene aveva parlato per primo: si trattava di una delle cose che aveva appreso senza parole dall’involucro di luce, e cioè che anche uno dei Volatori portava un congegno simile e si teneva in contatto soprannaturale con un umano.

Le grosse e grottesche creature avevano francamente ammesso di essere neutrali nel conflitto fra il Popolo ed i Volatori, ed Erakoum non ne faceva loro una colpa: quella non era la loro patria e non si poteva pretendere che a loro importasse se diveniva desolata. Comunque, Erakoum aveva astutamente intuito che gli umani desideravano tenere nascosto il loro rapporto ugualmente intimo con membri di entrambe le razze.

Se Hugh era stato ansioso che lei fosse in contatto spirituale con lui, quella notte, indubbiamente anche un altro umano aveva chiesto la stessa cosa ad un Volatore, e sarebbe stata una gioia speciale per lei abbattere quel particolare Volatore, senza contare che, se avesse cercato d’individuare un raggio pallido fra i bagliori dei bachi di fuoco e delle stelle, sarebbe potuta arrivare ad individuare un intero gruppo di nemici.

Ormai riposata, Erakoum iniziò a correre verso l’interno: Erakoum stava cacciando.

Jannika Rezek provava da sempre un senso di nostalgia per una terra in cui non aveva mai vissuto.

I suoi genitori avevano offeso politicamente la Federazione Danubiana, ed erano stati di conseguenza informati che non sarebbero stati sottoposti a trattamento in un ospedale di reindottrinamento, se si fossero offerti volontari per rappresentare il loro paese a bordo della prima nave che avrebbe trasportato personale su Medea. Quella che era stata offerta loro non aveva rappresentato certo una scelta vera e propria; nondimeno, suo padre le aveva detto in seguito che il suo ultimo pensiero, mentre sprofondava in animazione sospesa, era stato l’ironica considerazione che, al suo risveglio, nessuno di coloro che lo avevano giudicato sarebbe più stato in vita e che nessuno avrebbe più ricordato quali erano state le sue opinioni né se ne sarebbe interessato. In effetti, una volta giunto a destinazione, suo padre aveva appreso che la Federazione Danubiana non esisteva più.

Rimaneva comunque in vigore la legge per cui, fatta eccezione per il personale di volo, nessun passeggero poteva tornare da dove era venuto: i viaggi spaziali erano troppo costosi perché si potessero trasportare persone che sarebbero arrivate sulla Terra solo per diventare inutili rifiuti della storia del passato, e così marito e moglie si erano adattati meglio che potevano al loro esilio. Essendo entrambi medici, erano stati accolti con entusiasmo ad Armstrong e nel suo circondario agricolo, e là avevano prosperato, secondo i modesti parametri di Medea, ottenendo infine un raro privilegio. La popolazione umana sul pianeta era stata ormai stabilizzata legalmente, ed un numero maggiore di coloni avrebbe affollato in modo eccessivo le aree limitate destinate agli insediamenti ed avrebbe provocato enormi danni all’ambiente naturale che la colonia aveva lo scopo di studiare. Tuttavia, per controbilanciare vuoti creatisi nel programma riproduttivo, ad alcune coppie, ogni generazione, veniva dato il permesso di avere tre figli, ed i genitori di Jannika erano rientrati in quel numero ridotto.

In questo modo, tutti i bambini, Jannika compresa, ritenevano che la loro fosse un’infanzia felice ed anche altamente civilizzata. Nelle molecole delle bobine conservate nel Centro era racchiuso quasi l’intero ammontare della cultura della razza umana; l’industria era sviluppata quanto bastava perché le famiglie abbienti potessero disporre di apparecchi che ricevevano i dati con il massimo di dettagli ologrammici e stereofonici desiderati, ed i genitori di Jannika avevano approfittato di questa possibilità per placare la nostalgia, senza mai pensare all’effetto che questo poteva avere su cuori più giovani. Jannika era cresciuta fra spettri viventi: le vecchie torri di Praga, la primavera nel Böhmerwald, il Natale in un villaggio che i secoli avevano appena sfiorato, una sala per concerti dove la musica risuonava gloriosa intorno ad una folla vestita sfarzosamente e superiore di numero all’intera popolazione di Armstrong, repliche di eventi che avevano fatto un tempo tremare la Terra, canzoni, poesie, libri, leggende, favole… Talvolta Jannika si chiedeva se non si fosse dedicata alla xenologia perché gli uranidi erano leggeri, luminosi e magici esseri da fiaba.

Quel giorno, dopo che Hugh era uscito con Chrisoula, Jannika li aveva seguiti con lo sguardo per un momento: d’un tratto, la stanza si era come ristretta intorno a lei, soffocandola. Jannika aveva fatto del suo meglio per rallegrare l’ambiente con tende, quadri, oggetti cari, ma in quel momento essa era costellata di equipaggiamenti e lei odiava il disordine, mentre ad Hugh non importava nulla.

L’interrogativo sorse di nuovo in lei: quanto ancora importava ad Hugh di qualsiasi cosa? Quando si erano sposati erano innamorati, naturalmente, ma anche allora Jannika era stata consapevole che si trattava di un matrimonio dettato in buona parte dalla convenienza: entrambi erano a caccia di un incarico in un avamposto dove avrebbero viste accresciute le loro probabilità di effettuare ricerche significative ed originali, ed in quei casi erano preferite coppie sposate, in base alla teoria che queste sarebbero state distratte dal loro lavoro meno degli individui scapoli. Quando avessero avuto i primi figli, sarebbero stati trasferiti in una città, com’era d’uso.

Jannika e Hugh litigavano su questo argomento: la pressione sociale… osservazioni, suggerimenti, un imbarazzante evitare l’argomento… stava crescendo sempre più per spingerli alla riproduzione perché, all’interno dei limiti di popolazione, era preferibile mantenere il patrimonio genetico il più ampio possibile. Adesso, Jannika cominciava ad essere di età un po’ avanzata per la maternità, ed Hugh era più che disposto ad avere figli, solo che dava per scontato che lei si sarebbe occupata della casa ed avrebbe svolto un lavoro da scrivania, mentre lui avrebbe continuato le ricerche sul campo…

Non lo doveva rimproverare quando sarebbe tornato dalla sua passeggiata amorosa; le capitava di perdere le staffe un po’ troppo spesso in quei giorni, e di diventare davvero insopportabile, fino a che Hugh usciva tempestosamente dalla capanna oppure si attaccava ad una bottiglia di whisky. Non era un uomo cattivo… nel profondo dell’anima era un brav’uomo, si corresse in fretta Jannika… impulsivo in molti modi ma benintenzionato, e lei, in quello stadio della sua vita, non avrebbe certo potuto fare di meglio.

Eppure… Jannika sentì il calore salirle alle guance e fece un gesto come per allontanare il ricordo, senza riuscirvi: era una cosa che risaliva a due giorni prima.

Avendo appreso da A’i’ach l’esistenza del Tempo Lucente, aveva deciso di raccogliere qualche esemplare di quelle larve luminose: fino ad allora, gli umani avevano semplicemente saputo che gli insettoidi adulti si levavano in volo ad intervalli di un anno circa, ma se quell’avvenimento era importante per gli abitanti di Hansonia, lei doveva saperne di più in proposito. Doveva fare osservazioni di persona, e chiedere l’aiuto di biologi, ecologi, chimici… Aveva chiesto a Piet Marais il luogo più adatto in cui cercare e questi si era offerto di accompagnarla.

— Quest’idea sarebbe già dovuta venirmi — aveva detto. — Vivendo nell’humus, quei vermi devono influenzare la crescita delle piante.

Era necessario trovare un terreno più umido di quello di Port Kato, quindi si erano allontanati di parecchi chilometri fino a raggiungere un lago; il cammino era facile perché il denso fogliame degli alberi impediva la crescita del sottobosco, la morbidezza del suolo attenuava il suono dei passi e gli alberi formavano alte navate arcuate dove multipli raggi di sole trapassavano il velo di oscurità e di aromi per punteggiare il sole o rimbalzare su piccole ali, mentre un suono simile a quello di una lira scaturiva da una gola invisibile.

— Com’è bello! — aveva esclamato Piet dopo un po’.

Stava guardando Jannika, e non il paesaggio circostante, e la donna si era resa improvvisamente conto della bionda avvenenza del compagno. E della sua giovane età, aveva rammentato a se stessa, dal momento che Piet era più giovane di lei di quasi dieci anni, per quanto fosse maturo, riflessivo, educato e completamente uomo.

— Sì — aveva sbottato. — Vorrei poter apprezzare tutto questo quanto te.

— Non è la Terra — aveva risposto Piet, precisando, e Jannika si era accorta che la sua risposta non era stata così impersonale come lei avrebbe voluto.

— Non mi stavo commiserando — aveva ribattuto in fretta, — per favore, non lo pensare. Io vedo la bellezza, il fascino, la libertà che ci sono qui… oh, sì, siamo fortunati, qui su Medea. — E, tentando di ridere, aveva aggiunto: — Sulla Terra cosa avrei potuto fare per gli uranidi?

— Tu li ami, vero? — le aveva chiesto gravemente Piet, e, quando Jannika aveva annuito, aveva posato la mano sul braccio nudo di lei. — Tu hai una grande quantità di amore in te, Jannika.

Lei aveva fatto uno sforzo confuso per vedersi con gli occhi di lui: una donna di mezza altezza, con una figura che sapeva essere splendida; i capelli scuri lunghi fino alle spalle e solcati da ciocche grige che avrebbe voluto Hugh definisse premature. Zigomi alti, naso all’insù, mento appuntito, grandi occhi castani, pelle color avorio. Eppure, sebbene scapolo, un giovane attraente come lui non doveva essere certo alla disperazione, e doveva aver modo d’incontrare in città ragazze con cui poi tenersi in contatto via holocomunicatore. Non avrebbe dovuto dimostrare tutta quell’ammirazione per lei, e lei non avrebbe dovuto mostrarsi ricettiva. Era vero che aveva avuto altri uomini, prima e dopo sposata, ma mai a Port Kato, perché c’erano troppe probabilità di complicazioni; anzi, si era infuriata quando Hugh si era lasciato coinvolgere in una relazione locale. Ancora peggio, sospettava che Piet potesse vedere in lei qualcosa di più di una possibile compagna di baldorie, il che avrebbe potuto rovinare la vita di tutti gli interessati.

— Oh, guarda! — aveva esclamato, liberandosi dalla sua stretta per indicare un gruppo di piramidi di semi, mentre la mente le forniva soccorso per uscire dalla situazione. — Volevo dirtelo prima ma me ne sono completamente scordata: oggi ho ricevuto una chiamata dal Professor al-Ghazi. Pensiamo di aver scoperto cosa spinge quei bruchi luminosi ad avere la metamorfosi ed a sciamare in aria.

— Eh? — Piet aveva sbattuto le palpebre. — Non mi ero accorto che qualcuno ci stesse osservando.

— Ecco, si tratta di un’idea che mi è venuta in mente dopo che il mio particolare uranide mi aveva indotta a riflettere sulla cosa. Lui, A’i’ach, voglio dire, mi ha spiegato che l’epoca non è strettamente stagionale… questo non è necessario qui ai tropici… ma è determinata da Jason… dalla luna — aveva aggiunto, perché il nome che gli umani avevano attribuito al più interno dei satelliti maggiori somigliava ad una parola con cui i dromidi dell’area di Enrique indicavano un vento corrispondente al vento di scirocco, parola che gli umani avevano adottato a loro volta. — Lui dice che la metamorfosi si verifica durante il particolare passaggio di Jason davanti ad Argo. Questo avviene approssimativamente ogni quattrocento giorni. Per essere esatti, si tratta di un intervallo di cento ventisette giorni medeani. I nativi di questo pianeta sono altrettanto consapevoli dei corpi celesti come in qualsiasi altro luogo, e gli uranidi hanno trasformato lo sciamare delle larve luminose in un evento di festa, perché pare che queste siano deliziose da mangiare. Ebbene, tutto ciò mi ha suggerito un’idea, quindi ho chiamato il Centro ed ho richiesto un calcolo astronomico. A quanto sembra, avevo ragione.

— Rapporti astronomici per vermi sotterranei! — aveva esclamato Marais.

— Ecco, ricorderai indubbiamente come Jason provochi un’attività elettrica nell’atmosfera di Argo, come fa Io con Giove… nel sistema solare della Terra… In questo caso, si tratta di un effetto-raggio prodotto da una delle frequenze radio così generate, una sorta di maser naturale. Di conseguenza, quelle onde raggiungono Medea soltanto quando le due lune sono allineate fra di loro, e questo è il periodo esatto che il mio amico stava descrivendo. Anche la fase è giusta.

— Ma come fanno i vermi ad individuare un segnale tanto debole?

— Credo che sia chiaro che lo fanno. Quanto al come, non posso dirlo senza l’aiuto di specialisti. Ricorda però che Phrixus ed Helle creano poca interferenza e che possono esistere organismi straordinariamente sensibili. Lo sapevi che ci vogliono meno di cinque fotoni per attivare la porpora visiva, nel tuo occhio? Suppongo che le onde provenienti da Argo penetrino di qualche centimetro nel suolo ed azionino una catena di reazioni biochimiche. Senza dubbio si tratta di una reliquia evolutiva risalente al tempo in cui le orbite di Jason e Medea s’intersecavano esattamente ad ogni stagione. Le perturbazioni continuano a modificare i movimenti delle lune, lo sai.

— Io so — aveva replicato Piet, dopo una lunga pausa di silenzio, — che tu sei una persona straordinaria, Jannika.

La donna aveva nel frattempo riacquistato un autocontrollo sufficiente a condurre la conversazione fino a quando erano arrivati al lago, ma laggiù, per un momento, si era sentita nuovamente scossa.

Un canneto lo celò al loro sguardo finché lo ebbero superato per andare ad arrestarsi su una spiaggia ricoperta di erba simile a muschio e del colore dell’ambra. Vergine da manipolazioni umane, l’acqua giaceva schiumosa, gorgogliante ed odorosa. La vista dei morbidi colori e l’odore di cose viventi non era spiacevole, era una cosa normale su Medea… ma com’era limpido e brillante l’azzurro argenteo del Neusiedler See in Danubia! Jannika lasciò sfuggire fra i denti un respiro sibilante.

— Cosa c’è che non va? — aveva chiesto Piet, seguendo la direzione del suo sguardo. — I dromidi?

Un gruppo di quegli esseri era venuto a bere, ad una certa distanza, e Jannika li stava fissando come se non ne avesse mai visti in precedenza.

Il più vicino dei dromidi era una giovane adulta, presumibilmente vergine, dal momento che aveva ancora sei gambe. Dallo snello torso munito di una lunga coda scaturivano due braccia da centauro, quindi, più su, c’era una testa volpina che raggiungeva un’altezza equivalente a quella del torace di Jannika. Il pelame della creatura brillava di un colore nerazzurro sotto la luce dei due soli. Il bagliore di Argo era coperto dalla foresta.

Un terzetto di madri dotate di quattro gambe sorvegliava otto cuccioli. Un gruppetto di quei cuccioli indicava, per le dimensioni raggiunte, che le madri avrebbero presto avuto un’altra ovulazione, avrebbero concepito nuovamente e quindi da esse si sarebbe staccato il secondo segmento, che avrebbero curato fino a che fosse nato il piccolo vero e proprio. Un altro membro del gruppo era già giunto a quello stadio della sua vita, e camminava su due gambe, non essendo più una femmina funzionante bensì un esemplare in cui non si erano ancora sviluppate le gonadi maschili.

Non era presente nessun maschio in età di generare figli, perché simili creature erano troppo tese, bramose, impazienti e violente per poter condurre una vita sociale. C’erano invece tre esseri nello stadio postsessuale, avvizziti ma forti e protettivi, i cui movimenti su due gambe, per quanto veloci secondo gli standards umani, erano lenti se paragonati alla fulminea fluidità delle movenze dei loro compagni.

Tutti gli adulti erano armati con lance dell’età della pietra e con daghe, senza contare i denti da carnivoro che orlavano le loro bocche.

Il gruppo scomparve quasi subito dopo che Jannika lo ebbe scorto, non per timore della sua presenza, ma perché essi erano animali medeani la cui chimica corporea e la cui vita procedevano più velocemente delle sue.

— I dromidi — le era riuscito di dire.

— Inseguono i tuoi amati uranidi — aveva replicato gentilmente Piet, dopo averla osservata per qualche tempo. — Mi hai detto che il fenomeno diverrà più violento che mai nella notte in cui le lucciole si levano in volo, ma non li devi odiare: sono prigionieri di una tragedia.