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*** Adesso entrambi i soli erano tramontati e le montagne occidentali erano divenute un’onda di oscurità, immota, come se il freddo dell’Oltre l’avesse sfiorata e congelata nel momento in cui si sollevava, una prima barriera marina sulla via di fuga verso la Promessa. Il cielo si stendeva purpureo al di sopra dell’onda, illuminato dalle prime stelle e da due piccole lune, dai contorni color ocra e con le gobbe crescenti argentate come la Promessa stessa. Verso est, il cielo rimaneva azzurro, e proprio in quella direzione, appena al di sopra dell’oceano, Ruii era illuminato quasi completamente, le sue strisce rese luminose là dove attraversavano il Suo bagliore carminio: sotto di Esso, il bagliore che ne derivava faceva tremolare le acque rendendo visibile il vento.
A’i’ach percepiva a sua volta quel vento, fresco e sussurrante: ciascun pelo del suo corpo, per quanto sottile, rispondeva al suo tocco, ma lui aveva bisogno di ben poca spinta per mantenere la direzione, di una quantità di energia appena bastante a dargli la sensazione della propria forza e del fatto di essere una cosa sola, nel viaggio e nella destinazione da raggiungere, con il suo Sciame. I globi degli altri lo circondavano con il loro pallido bagliore iridescente, nascondendo quasi completamente al suo sguardo il suolo su cui stavano viaggiando, perché A’i’ach era fra quelli più in alto da terra. Gli odori vitali dei suoi compagni soffocavano ogni altro odore portato dall’aria con i loro aromi dolci ed opprimenti, ed essi stavano cantando all’unisono, centinaia di voci in coro, in modo che i loro spiriti si potessero fondere insieme e divenire Spirito, un’anticipazione di ciò che li attendeva nel lontano ovest.
Quella notte, quando P’a avrebbe attraversato il volto di Ruii, sarebbe tornato il Tempo Lucente, e loro gioivano già per la meraviglia che li attendeva.
A’i’ach soltanto non cantava né concedeva più che ad una minima parte del suo io di perdersi nei sogni di festa e di amore, perché era fin troppo consapevole di ciò che trasportava: quella cosa che l’umano gli aveva assicurato sul dorso pesava pochissimo, ma ciò che essa stava insinuando nella sua anima era pesante ed aspro. L’intero Sciame era naturalmente consapevole dei pericoli di un attacco, e molti dei suoi membri erano muniti di armi… pietre da gettare, oppure rami appuntiti staccati da piante di ü… strette nei filamenti che sporgevano da sotto i loro globi. A’i’ach possedeva però un coltello d’acciaio, il prezzo che aveva chiesto per permettere agli umani di mettergli quel carico. Eppure, non era nella natura del Popolo di temere quel che gli sarebbe potuto piombare addosso dal futuro, ma A’i’ach era stranamente cambiato a causa di ciò che stava accadendo dentro di lui.
Non sapeva da dove gli fosse giunto quel sapere, sopravvenuto abbastanza lentamente perché non fosse sorpreso dalla sua presenza, ma, al posto della sorpresa, un senso di cupa determinazione si era frattanto congelato dentro di lui: da qualche parte su quelle colline e foreste, correva una Bestia che portava un oggetto simile al suo e che si manteneva inoltre in una sorta di spettrale contatto-Sciame con un umano. A’i’ach non poteva immaginare cosa sarebbe potuto derivare da questo, salvo che si sarebbe trattato di qualche tipo di guaio per il Popolo. Chiedere informazioni in merito avrebbe potuto rivelarsi poco saggio, e quindi A’i’ach era giunto a prendere una decisione che comprendeva essere aliena alla sua razza: sarebbe stato lui a porre termine a quella minaccia.
Dal momento che i suoi occhi erano collocati in basso nel corpo, non poteva vedere l’oggetto fissato sul dorso, né la luminosità che da esso saliva verso l’alto. I suoi compagni erano però in grado di vederlo, e lui stesso aveva assistito ad una dimostrazione prima di acconsentire a trasportarlo. Il raggio era debolissimo, visibile soltanto di notte, e, anche in quel caso, su uno sfondo scuro. A’i’ach avrebbe cercato d’individuare un bagliore fra le ombre sulla terra, e, presto o tardi, lo avrebbe trovato, dato che le probabilità a suo favore non erano scarse in quell’epoca, il Tempo Lucente, quando le Bestie cercavano di uccidere il Popolo, sapendo che questo si sarebbe radunato numeroso per festeggiare.
A’i’ach aveva richiesto il coltello come un oggetto curioso e possibilmente utilizzabile, con l’intenzione di custodirlo fra i rami di un albero e di fare qualche esperimento con esso quando ne avesse avuto voglia. Accadeva che una Persona impiegasse di tanto in tanto un oggetto reperito casualmente, come un ciottolo appuntito, per qualche fugace scopo, come per esempio quello di aprire la corolla di un fiore a cresta per far volare nell’aria i suoi deliziosi semi. Forse, con un coltello, avrebbe potuto lavorare il legno e ricavare attrezzi da tenere sempre a portata di mano.
Ora che disponeva di quella nuova forma d’introspezione, A’i’ach capiva a cosa era effettivamente destinata quella lama: con essa, avrebbe potuto colpire dall’alto fino ad uccidere una Bestia…, no, la Bestia.
A’i’ach stava cacciando. ***
Parecchie ore prima del tramonto, Hugh Brocket e sua moglie, Jannika Rezek, si stavano preparando al loro lavoro notturno quando era sopraggiunta, con notevole ritardo, Chrisoula Gryparis: una tempesta aveva bloccato a terra il suo velivolo ad Enrique e poi, procedendo perversamente verso ovest, l’aveva costretta ad effettuare una lunga deviazione durante il viaggio verso Hansonia. Non aveva neppure avvistato l’Oceano Circolare fino a quando aveva attraversato un abbondante migliaio di chilometri di terraferma, dopodiché aveva dovuto deviare a sud di un’eguale distanza, prima di raggiungere finalmente la grossa isola.
— Come sembra solitario Port Kato visto dall’aria — osservò. Per quanto accentato, il suo inglese… la lingua comune convenuta in quella particolare postazione… era fluente, e quello era uno dei motivi che l’avevano spinta a venire a vedere se c’era un posto disponibile.
— Perché lo è — replicò Jannika, con il suo diverso accento. — Ci sono una dozzina di scienziati, un numero doppio di assistenti e qualche membro del personale di supporto. Questo ti rende ancor più benvenuta.
— Cosa, vi sentite isolati? — chiese Chrisoula. — Ma se potete contattare qualsiasi luogo di Nearside dove ci sia un olocomunicatore!
— Già, oppure volare in una città per affari o per diporto o per qualsiasi altro motivo — ribatté Hugh. — Ma, non importa quanto un’immagine possa apparire e suonare stereo, essa rimane pur sempre un’immagine: non puoi certo portarla fuori a bere qualcosa dopo che il colloquio è finito, ti pare? E quanto ad una visita effettiva, ecco, ben presto ti ritrovi di nuovo qui fra le stesse vecchie facce. Gli avamposti finiscono presto per involversi socialmente, come scoprirai, se decidi di rimanere. Non che stia tentando di scoraggiarti — aggiunse in fretta, — Jan ha ragione: saremmo più che felici di avere qualche persona nuova fra di noi.
L’accento di Hugh rappresentava un prodotto della storia: l’uomo era di madrelingua inglese, ma era medeano da tre generazioni, il che significava che i suoi nonni avevano lasciato l’America Settentrionale tanto tempo prima che la lingua di laggiù era ormai mutata come ogni altra cosa.
A dire il vero, neppure Chrisoula era esattamente all’ordine del giorno, se si pensava che un raggio laser impiegava quasi cinquant’anni per andare dal Sole a Colchis e che la nave su cui lei aveva viaggiato, in animazione sospesa e senza invecchiare, aveva tenuto una velocità considerevolmente inferiore…
— Sì, qualcuno della Terra! — La voce di Jannika era raggiante.
— Le cose non andavano bene sulla Terra quando sono partita — replicò Chrisoula, sussultando, — anche se forse in seguito sono migliorate. Per favore, ve ne parlerò più tardi, ma ora mi piacerebbe considerare quello che mi aspetta.
Hugh le batté qualche colpetto su una spalla, pensando che era una ragazza decisamente carina, anche se non rientrava nella stessa categoria di Jan, categoria in cui ben poche donne rientravano, e che comunque gli sarebbe piaciuto se la loro conoscenza si fosse sviluppata in una direzione più intima: la varietà, dopo tutto, era la spezia della vita.
— Sei stata proprio sfortunata, oggi, vero? — mormorò. — Sei stata costretta a tardare fino a quando Roberto… uh, il Dr. Venosta… è uscito nei campi, ed il Dr. Feng è tornato al Centro con un mucchio di campioni… — Hugh si riferiva al capo biologo ed al capo chimico. Chrisoula era specializzata in biologia, e si sperava che proprio lei, appena giunta con l’ultimo dei rari astrotrasporti, avrebbe contribuito in modo significativo alla comprensione della vita su Medea.
— Bene — sorrise Chrisoula. — Allora conoscerò prima gli altri, a cominciare da voi due.
— Mi dispiace — obiettò Jannika, scuotendo il capo, — ma anche noi abbiamo da fare, e presto ce ne andremp per non tornare prima del sorgere del sole.
— Cioè… fra quanto? Circa trentasei ore? Ma non è un periodo piuttosto lungo da trascorrere in… com’è che avete detto…? in questo strano ambiente?
— Questo è il compito di uno xenologo, cosa che noi siamo entrambi — rise Hugh. — Credo di poter trovare un po’ di tempo per accompagnarti in giro, presentarti e farti sentire più a tuo agio.
Essendo arrivata in un periodo del ciclo di turni di guardia in cui la maggior parte della gente dell’avamposto stava ancora dormendo, Chrisoula era stata condotta negli alloggi di Hugh e Jannika, i quali si erano alzati presto per prepararsi alla loro spedizione.
Jannika lanciò uno sguardo duro al marito; quello che vide fu un uomo alto, che stimava la propria età in termini di anni terrestri, quarantuno di essi, massiccio, leggermente goffo nei movimenti, con un accenno di pancia. I lineamenti erano rozzi, i capelli color sabbia, gli occhi azzurri; i capelli erano tagliati corti ed il volto sbarbato, ma tunica, calzoni e stivali trascurati denotavano lo stile dei minatori fra cui Hugh era cresciuto.
— Io non ho tempo — affermò Jannika.
— Certo, continua pure, cara. — Hugh ebbe un gesto espansivo, quindi prese Chrisoula per il gomito. — Avanti, facciamo un giro.
Stupita, la ragazza lo accompagnò fuori dalla capanna ingombra; all’interno del recinto, si arrestò per guardarsi intorno, come se quella fosse la prima volta che vedeva Medea.
Port Kato era decisamente piccolo. Per non turbare l’ecologia locale con apparati ed installazioni di lampade ultraviolette sui campi o di canali di scolo provenienti da essi, l’avamposto traeva i suoi generi di sostentamento da più vecchi e grandi insediamenti collocati sulla terraferma del Nearside. Inoltre, per quanto vicino alle coste orientali di Hansonia, l’avamposto era rientrato di alcuni chilometri nell’interno e costruito su un terreno elevato, come precauzione contro le maree dell’Oceano Circolare che potevano assumere proporzioni mostruose. Così, la natura circondava, sormontava e gravava sul piccolo gruppo di costruzioni dovunque la ragazza posasse lo sguardo… o ascoltasse, fiutasse, toccasse, assaporasse o andasse. La gravità leggermente inferiore a quella della Terra conferiva una certa elasticità al suo passo, mentre la maggiore quantità di ossigeno sembrava darle maggior energia nelle stesse proporzioni, anche se le membrane mucose non avevano ancora smesso di dolerle. Nonostante la latitudine tropicale, l’aria era balsamica e non troppo umida, perché l’isola si trovava abbastanza vicino al Farside per esserne rinfrescata. L’aria era piena di odori pungenti, e Chrisoula riusciva a trovare un paragone familiare come il muschio e lo iodio solo per alcuni di essi, ed anche sconosciuti le giungevano i suoni… fruscii, trilli, gracidii e mormorii… che la densa atmosfera le faceva risuonare con forza negli orecchi.
La stazione stessa aveva un aspetto straniero: le costruzioni erano fatte con materiali locali e secondo progetti locali, e perfino il convertitore ad energia radiante non presentava lo stesso aspetto che avrebbe avuto a casa. Le ombre multiple avevano tonalità particolari, ed in effetti ogni colore mutava in quella luce rossiccia; gli alberi che si levavano al di sopra dei tetti erano sagome strane, con un fogliame nelle tonalità del giallo, dell’arancio e del marrone, e piccole creature svolazzavano fra essi o si muovevano sui rami. Occasionali frammenti luminosi trasportati dalla brezza non sembravano essere particelle di polvere.
Il cielo aveva una tinta scura, e le poche nubi erano rivestite di una tenue tonalità rosa ed oro. Il doppio sole Colchis… Castor C sembrava improvvisamente un nome troppo arido… stava tramontando verso ovest, ed entrambi i suoi dischi erano così opachi da poter essere osservati senza pericolo per un poco, Phrixus vicino alla sua massima separazione angolare da Helle.
Dalla parte opposta rispetto ai soli, Argo dominava il cielo, come sempre nell’emisfero di Medea rivolto verso l’interno. Qui il pianeta primario appariva basso nel cielo, e le cime degli alberi nascondevano buona parte del suo grande disco appiattito, mentre la luce del giorno attenuava il rossore del calore da esso emanato, che sarebbe divenuto smagliante con il buio. Nondimeno, quel pianeta era un colosso, tanto da apparire ad occhio nudo quindici o sedici volte più grande della Luna sovrastante la Terra; le bande e le macchie sottilmente cromatiche che solcavano la sua superficie in modo sempre mutevole, erano nubi più grandi di continenti e uragani vorticanti che avrebbero potuto inghiottire la luna su cui attualmente Chrisoula si trovava.
— Mi… colpisce più di qualsiasi luogo nei dintorni di Enrique — sussurrò, rabbrividendo, — o… o dell’avvicinamento dallo spazio. Sono giunta in un altro posto dell’universo.
Hugh le circondò la vita con un braccio, e, non essendo altrettanto sciolto nel parlare, si limitò a dire:
— Ebbene, questo è un posto differente, ed è proprio per questo che Port Kato esiste, sai? Per studiare in profondità una zona che è rimasta isolata per parecchio tempo. Mi hanno detto che l’istmo fra Hansonia e la terraferma è scomparso quindicimila anni fa; i dromidi locali, per lo meno, non avevano mai sentito parlare di esseri umani prima del nostro arrivo, e gli uranidi avevano solo udito voci in merito, che possono averli influenzati in qualche modo, ma non eccessivamente.
— Dromidi… uranidi… oh! — Essendo di origine greca, Chrisoula afferrò al volo il significato di quei nomi. — Volpi e globi, esatto?
— Per favore — si accigliò Hugh. — Quelli sono scherzi da poco, ti pare? So che ne devi aver sentiti parecchi in città, ma io credo che entrambe le razze meritino di ricevere nomi più dignitosi da parte nostra. Ricordati che sono dotate d’intelligenza.
— Mi dispiace.
— Niente di male, Chris. — Hugh le strinse leggermente la vita. — Sei nuova di qui, e con un lasso di tempo di un secplo fra domande e risposte, fra qui e la Terra…
— Sì, mi sono chiesta se valga realmente la pena di creare colonie al di là del Sistema Solare soltanto per trasmettere conoscenze scientifiche con tanta lentezza.
— Tu hai in proposito informazioni più recenti di quante ne abbia io.
— Ecco… planetologia, biologia e chimica stavano ancora fornendo nuovi elementi d’analisi introspettiva quando sono partita, e questo era un bene per ogni scienza, dalla medicina al controllo dei vulcani. — La donna si raddrizzò sulla persona. — Chissà, forse il prossimo passo sarà nel tuo campo, la xenologia. Se riuscissimo ad arrivare a comprendere una mente non umana… no, due tipi di menti non umane, su questo mondo, o addirittura tre, se è vero quello che ho sentito teorizzare in merito all’esistenza di due tipi del tutto differenti di uranidi… — Chrisoula trasse il fiato, — ebbene, allora avremmo la possibilità di arrivare a comprendere noi stessi. — Hugh ritenne che la ragazza fosse davvero interessata e non stesse soltanto cercando di compiacerlo quando soggiunse: — Cos’è che fate esattamente, tu e Jan? Ad Enrique mi hanno detto che si tratta di una cosa del tutto speciale.
— Sperimentale, comunque. — Hugh la lasciò andare per non precorrere troppo i tempi di approccio. — È una storia piuttosto complicata. Non ti piacerebbe invece fare il giro della nostra metropoli?
— Posso farlo più tardi da sola, se tu dovrai tornare al lavoro. Ma sono affascinata da quello che ho sentito dire del vostro progetto: leggere le menti degli alieni!
— Non si tratta esattamente di questo. — Cogliendo al volo l’occasione, Hugh le indicò una panchina all’esterno di una baracca di macchinari. — Se davvero t’interessa parlarne, perché non ci sediamo?
Mentre si sedevano, Piet Marais, il botanico, emerse dalla sua capanna, ma, con sollievo di Hugh, si limitò a salutarli e ad allontanarsi in fretta, per andare a studiare certi strani comportamenti manifestati a quell’ora del giorno da alcune piante di Hansonia. Tutti erano ancora in casa, il cuoco ed il suo assistente per preparare la colazione, gli altri intenti a lavarsi e vestirsi per dare inizio ad un altro periodo di veglia.
— Suppongo che tu sia sorpresa — esordì Hugh, — perché le tecniche di neuroanalisi elettronica erano ancora ad uno stadio iniziale sulla Terra quando ne sei partita; sono state sviluppate maggiormente in seguito, e, naturalmente, le informazioni in merito ci sono giunte molto prima del tuo arrivo. Laggiù, le tecniche erano state applicate agli animali inferiori ed anche agli esseri umani. Quindi non è stato difficile per noi… grazie all’apporto di un paio di genii del Centro… adattare l’equipaggiamento sia ai dromidi che agli uranidi. Dopo tutto, entrambe quelle specie possiedono un sistema nervoso ed i segnali sono elettrici. In effetti, è stato più difficile sviluppare i programmi necessari che non l’apparecchiatura vera e propria. Jannika ed io stiamo lavorando a questo, raccogliendo i dati empirici per gli psicologi ed i semantici e gli esperti di computeristica.
«Uh, per favore, non ci fraintendere. Per noi, questa fase di lavoro è quasi incidentale. Analisi mentale… una brutta parola, ma sembriamo essere collegati per forza ad essa… perché l’analisi mentale si rivelerà alla lunga uno strumento prezioso per il nostro vero lavoro che consiste nell’apprendere come vivono i nativi locali, cosa pensano e provano, tutto ciò che li riguarda. Comunque, al momento la cosa è molto nuova, molto limitata e dagli esiti quanto mai imprevedibili.