123925.fb2 Jeffty ha cinque anni - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 4

Jeffty ha cinque anni - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 4

— Jeffty!

Mi guardò, ma i suoi occhi non riuscirono a mettermi a fuoco. Era in preda a un assoluto terrore. Lo tirai giù dalla sedia e mi avvicinai con lui verso la porta d’ingresso, e i clienti che avevo lasciato gridarono: — Ehi! — L’uomo di mezza età disse: — Me lo vuol vendere questo affare, o no?

Spostai lo sguardo da lui a Jeffty, e poi di nuovo a lui. Jeffty era come uno zombie. Era venuto fin dove io l’avevo trascinato, le sue gambe sembravano di gomma, e strisciava i piedi. Il passato veniva divorato dal presente, una sensazione come di sordo dolore.

Tirai fuori di scatto i soldi da una tasca e li cacciai in mano a Jeffty:

— Ragazzino, ascoltami… adesso esci subito di qui! — Lui non riusciva ancora a mettere a fuoco le immagini. — Jeffty — dissi, con quanta più fermezza avevo, — ascoltami! — Il cliente di mezza età e sua moglie stavano venendo verso di noi. — Ascolta, ragazzino, esci di qui immediatamente. Vai a piedi fino all’Utopia e compera i biglietti. Ti raggiungerò subito.

L’uomo di mezza età e sua moglie ci erano quasi addosso. Spinsi Jeffty attraverso la porta e lo vidi allontanarsi barcollando verso la direzione sbagliata, per poi fermarsi, riprendersi, voltarsi, tornare indietro e passare di nuovo davanti al Centro, in direzione dell’Utopia. — Si, signore — dissi, raddrizzandomi e fronteggiandoli. — Sì, signora, è un apparecchio formidabile con alcune sensazionali caratteristiche! Se volete venire con me…

Vi fu un tremendo suono, straziante, come di qualcuno che soffrisse, ma non riuscii a capire da quale canale provenisse, o da quale apparecchio.

La maggior parte dell’accaduto l’appresi più tardi dalla ragazza della biglietteria e da alcune persone che conosco e che vennero da me a dirmelo. Quando arrivai all’Utopia, quasi venti minuti dopo, Jeffty era stato picchiato fin quasi a esser ridotto in poltiglia, ed era stato portato nell’ufficio del direttore.

— Non avete visto un bambino, di circa cinque anni, con dei grandi occhi e capelli castani, lisci… Mi stava aspettando.

— Oh, credo che sia il bambino che quei ragazzi hanno picchiato!

— Che cosa? E dov’è adesso?

— Lo hanno portato nell’ufficio del direttore. Nessuno sapeva chi fosse, o dove fossero i suoi genitori…

Una ragazza con l’uniforme da maschera gli stava ripulendo la faccia con una salvietta umida. Le strappai di mano la salvietta e le ordinai di uscire dall’ufficio. Ella si mostrò offesa e sbottò in qualcosa di villano, ma se ne andò. Mi sedetti sull’orlo del divano e cercai di pulir via il sangue dalle lacerazioni, senza riaprire le ferite dove si era già formata la crosta. Entrambi gli occhi erano gonfi, e chiusi. La bocca era malamente escoriata. Anche i capelli erano incrostati di sangue disseccato.

Aveva fatto la fila dietro a due ragazzi sui dieci anni. Avevano cominciato a vendere biglietti mezz’ora prima dello spettacolo, e per un quarto d’ora, ancora, le porte non sarebbero state aperte. Lui aveva aspettato. I ragazzi davanti a lui stavano ascoltando una partita di calcio da una radio portatile. Jeffty aveva voluto ascoltare chissà quale programma. Dio solo sa che cosa poteva essere stato, Grand Central Station, Land of the Lost, Dio solo sa. Aveva chiesto in prestito la loro radio per ascoltare quel programma per un minuto, c’era stato uno spazio pubblicitario o qualcosa del genere e i ragazzi gli avevano dato la radio, probabilmente per una maligna forma di cortesia che permettesse loro, poi, di mostrarsi offesi e di suonarle al ragazzino. Egli aveva cambiato stazione… ed essi erano stati incapaci di ritrovarla, per ascoltare di nuovo la partita. La radio era bloccata sul passato, su una stazione che non esisteva per nessuno, salvo Jeffty.

Era stato picchiato selvaggiamente, mentre tutti stavano a guardare.

E poi i due ragazzi erano scappati via.

E io l’avevo lasciato solo, l’avevo lasciato a combattere il presente senza le armi adeguate. Lo avevo tradito per vendere un ventun pollici Mediterranean, e adesso il suo viso era carne ridotta in poltiglia. Egli gemette qualcosa d’inaudibile e singhiozzò sommesso.

— Sssst, tutto a posto, ragazzino, sono Donny. Sono qui. Ti porto a casa, andrà tutto bene.

Avrei dovuto accompagnarlo direttamente all’ospedale. Non so perché non lo feci. Avrei dovuto. Avrei dovuto farlo.

Quando lo trasportai attraverso la soglia, John e Leona Kinzer si limitarono a fissarmi. Non si mossero per prendermelo dalle braccia. Una delle sue mani penzolava inerte. Era cosciente, ma appena appena. Essi mi fissarono, lì nella semioscurità di un sabato pomeriggio, nel presente. Io li guardai. — Un paio di ragazzi lo hanno picchiato al cinema. — Lo sollevai di qualche centimetro, fra le braccia, e lo porsi a loro. Essi mi fissarono, ci fissarono entrambi, senza niente nei loro occhi, senza alcun movimento. — Gesù Cristo — urlai. — È stato picchiato! È vostro figlio! Non volete neppure toccarlo? Che razza di gente siete, per l’inferno?

Poi Leona si mosse verso di me, molto lentamente. Ci fronteggiò per alcuni istanti, e sul suo viso era dipinto uno stoicismo plumbeo, terribile a vedersi. Voleva dire: Ho già passato momenti come questo, molte volte, e non posso sopportare di passarne ancora. Eppure eccomi qui.

Perciò lo diedi a lei. Dio mi aiuti, lo consegnai a lei.

E lei lo portò di sopra per lavargli via il sangue e il dolore.

John Kinzer e io restammo nel soggiorno in ombra, distanti l’uno dall’altro, e ci fissammo.

Egli non aveva nulla da dirmi.

Gli passai accanto, scostandolo, e mi lasciai cadere su una poltrona.

Tremavo.

Di sopra, sentii scorrere l’acqua del bagno.

Dopo quello che sembrò un tempo lunghissimo, Leona scese dabbasso asciugandosi le mani sul grembiule. Si sedette sul sofà, e un attimo dopo John si sedette accanto a lei. Dal piano di sopra mi giunse un suono di musica rock.

— Vuoi una fetta di torta? — mi chiese Leona.

Non risposi. Stavo ascoltando quella musica… Musica rock. Alla radio. C’era una lampada sul tavolino accanto al sofà. Irradiava una luce debole, futile, nel soggiorno in ombra. Musica rock del presente alla radio del piano di sopra? Feci per dire qualcosa, e poi seppi…

Balzai in piedi proprio mentre un orrido crepitio soffocava la musica, e la luce della lampada sul tavolino si fece più fioca, ancora più fioca, e tremolò. Io urlai, non so che cosa urlai, e corsi su per la scala.

I genitori di Jeffty non si mossero. Rimasero lì, seduti con le mani incrociate, là dove erano rimasti per così tanti anni.

Incespicai e caddi due volte mentre mi precipitavo su per le scale.

Non c’è molto alla televisione che m’interessi. Ho comperato un vecchio apparecchio radio Philco a forma di cattedrale in un negozio di roba usata, e ho sostituito tutte le parti bruciate con valvole originali prese dalle vecchie radio ancora funzionanti che sono riuscito a trovare. Non ho usato transistor o circuiti stampati. Non avrebbero funzionato.

A volte sono rimasto davanti a quell’apparecchio per ore intere, girando la manopola avanti e indietro sul quadrante, quanto più lentamente si possa immaginare, così lentamente che quasi pareva che l’indice neppure si muovesse. Ma non sono mai riuscito a trovare Capitan Mezzanotte o The Land of the Lost o The Shadow o Quiet Please.

Dunque, lei lo amava ancora un po’, anche dopo tutti quegli anni. Io non riesco a odiarli: essi volevano soltanto disperatamente vivere nel mondo presente. Il che non è poi una cosa così terribile.

Tutto considerato, è un buon mondo. È molto meglio di com’era un tempo, e in molti sensi. La gente non muore più a causa delle vecchie malattie. Muore a causa di quelle nuove, ma questo è il Progresso, non è vero?

Non è vero?

Ditemelo.

Qualcuno me lo dica, per favore.