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Corrig trovò Stavia in cucina con un’aria sofferente tipica delle donne di mezz’età, con gli occhi gonfi per la mancanza di sonno, e il testo di Ifigenia a Troia aperto sul tavolo.
— Ti ho sentito muoverti per casa tutta la notte — disse, passandole una mano tra i capelli. — Hai un aspetto terribile, cara.
— Grazie — rispose lei laconicamente.
— Be’, diciamo che hai un aspetto meno grazioso del solito — riempì una pentola con acqua e cereali posandola sul fornello.
— Non riuscivo a dormire. Continuo a pensare a Dawid. Mi domando cosa ne sarà di lui.
— È normale. Ti occorrerà un po’ di tempo per accettare il fatto che se ne è andato. — Versò del tè caldo nella tazza vuota di fronte a lei; abbassò gli occhi sul testo. — Non è che sia la lettura più piacevole del mondo.
— Lo so — rispose lei — lo faccio soprattutto per distrarmi. Una volta la sapevo a memoria, tutte le parti; l’ho vista rappresentare tutte le estati ma non ci ho più pensato per molti anni. Morgot ha recitato Ifigenia sin da quando io ricordi; devo imparare tutto di nuovo se devo recitare la parte nella rappresentazione di quest’anno.
— Non sarà in scena sino all’estate; non siamo neppure in primavera — le sue sopracciglia scure si sollevarono formando due archi perfetti sopra gli occhi profondi e il naso diritto. Folti riccioli salivano dal mento sino alla bocca ampia e mobile; l’uomo si umettò le labbra, piegando il capo esaminandola mentre tagliava delle fette di mela secca da aggiungere ai cereali.
— Pensavo che sarebbe stato più facile se lo avessi riletto una dozzina di volte — disse lei con voce abulica. — Che mi sarebbe tornata in mente senza troppa fatica.
— Faresti meglio a concederti qualche ora in più di sonno.
— Non riuscivo a prendere sonno. Del resto, dovrebbe rallegrarmi. Dopotutto è una commedia.
— Una commedia!
— Lo è, Corrig. Il pubblico ride.
Lui le rivolse una smorfia cercando di sorridere. — Ci sono diverse cose del Paese delle Donne che trovo difficili da comprendere. Quanti anni avevi la prima volta che hai recitato in questa commedia?
— Oh, circa dieci o undici anni, immagino. La facevamo ogni anno a scuola, recitando parti diverse, costruendo le scenografie, e realizzando i costumi.
— Così, l’hai recitata per ventisette anni… Penso che dovresti dedicarti a qualcos’altro per un poco, ma Joshua dice che le donne del Concilio non si annoiano mai.
— Non è che non si annoino. È che la commedia fa parte della… parte delle cose da ricordare, lo sai! — Portò le dita ai capelli, passandole sulla ruvida cicatrice in cima al capo, che non se ne era mai andata via. — Quando tornerà Joshua?
— Presto, spero — rispose lui. — Ci sono più cose da fare di quante ne possa fare io. Facciamo una cosa. Se proprio sei decisa a ripassare la commedia io ti leggerò le battute e vediamo se riesci a ricordare la parte di Ifigenia.
— Non entra in scena prima di pagina sei…
— Allora leggerò le prime sei pagine e tu avrai il tempo di bere un’altra tazza di tè e di fare colazione. — Le prese il testo appoggiandosi allo schienale della sedia e cominciò a leggere con la sua voce profonda iniziando dalle “note”.
Stavia, troppo stanca per lamentarsi di tutti quegli inutili dettagli, si limitò ad ascoltare lasciando che la sua voce fluisse dentro di lei.
— Ifigenia a Troia — lesse Corrig. — Nota per gli studenti: la commedia è su una storia scritta millenni prima della Convulsione e riguarda un conflitto tra due eserciti, i greci e i troiani, scoppiata quando un guerriero troiano rapì una donna greca chiamata Elena. I greci inseguirono la coppia in una città chiamata Troia (conosciuta anche con il nome di Ilio) e cinsero d’assedio la rocca. Questo assedio si protrasse per dieci anni, soprattutto per i contrasti tra i capi dei greci che, tuttavia, alla fine riuscirono a vincere i troiani e a distruggere la città. L’azione della commedia si svolge dopo la distruzione, fuori dalle mura devastate di Troia. L’Appendice A alla fine della commedia elenca i nomi e le qualità di alcuni dei guerrieri greci e troiani come Agamennone, Menelao, Odisseo, Ettore e altri che sono menzionati nella rappresentazione. L’Appendice B contiene un riassunto dell’opera originale sulla quale questa commedia è basata. L’Appendice C riporta la storia della commedia insieme ad alcuni commenti sulla sua importanza per il Paese delle Donne. Hai mai letto le Appendici? — domandò Corrig sfogliando rapidamente il libro per arrivare alla fine.
— Mi sembra di averle lette una volta a scuola, non ricordo.
— Personaggi della commedia — lesse Corrig.
TROIANI
ECUBA: vedova di Re Priamo di Troia e madre di Ettore
ANDROMACA: vedova di Ettore
Lo spettro di POLISSENA: figlia di Ecuba
CASSANDRA: figlia di Ecuba.
GRECI
TALTIBIO: un messaggero.
Lo spettro di IFIGENIA: la figlia di Agamennone
Lo spettro di ACHILLE: un guerriero greco
ELENA, vista sopra le mura.
Diversi soldati e serve.
Scena: Ai piedi delle mura distrutte di Troia. Sulla destra le pietre di un muro che porta a una ripida scala che conduce in cima al bastione. Sulla sinistra ci sono pochi guerrieri ai quali è stato ordinato di montare la guardia alle donne che stanno giocando a dadi. Abbracciate l’una all’altra, Ecuba e Andromaca con le ancelle addormentate attorno a loro. Sul grembo di Andromaca c’è suo figlio neonato, Astianatte, che la donna sta cullando.
ANDROMACA: Su, piccolo, su. Prendi il capezzolo. Succhia. Oh, vedi, o madre Ecuba, è così stanco che neppure riesce a poppare, povero piccolo. Tutto quel fumo e quel rumore.
ECUBA: E i pianti. Noi siamo la causa di tutto ciò. Sono i nostri lamenti a tenerlo sveglio, figlia. Be’, non riesco più a piangere. Ho pianto per Ettore, mio figlio, ho pianto per re Priamo, il mio sposo, e ho pianto per la città di Troia e infine ho pianto per me stessa. Ne ho abbastanza.
ANDROMACA: Anche i miei occhi non hanno più lacrime da versare. (Alza lo sguardo sino alle mura sopra di loro dove un gruppo di persone si è fermato a guardare) Sgualdrina!
ECUBA: (Alzando a sua volta lo sguardo) Stai parlando di Elena.
ANDROMACA: Be’, lei non è qui, nella polvere con noi, vero? Non sta cercando di trovare cibo per un bimbo o domandandosi di chi diverrà schiava…
ECUBA: Quella donna non sarà schiava di nessuno. Menelao ha giurato di ucciderla.
ANDROMACA: Non lo farà. Perché dovrebbe uccidere la causa di tanta gloria? Uccidere la musa che ha ispirato diecimila canzoni? Tornerà a essere sposa e regina, ricoperta di onori, esibita come la preziosa vacca qual è. Siederà su un trono istoriato con un telaio d’argento e uno scialle di seta quando noi saremo tutte morte. (Guarda verso Elena che ride in cima all’edificio) Possa il suo ventre essere per sempre sterile. Possa non aver mai un altro figlio. Possa…
ECUBA: Shh, shh. Le tue maledizioni potrebbero venir udite e in questo modo scateneresti le Erinni contro di te. Chi invoca maledizioni contro i propri congiunti scatena le tre vendicatrici contro se stesso…
— Una pausa per una nota a piè pagina — disse Corrig sfogliando il libro. — Cosa sono le Erinni? Non me lo ricordo.
— Furie — rispose Stavia, sorseggiando il suo tè.
— Ah, già. “Rabbia, Vendetta e Gelosia che ritornano dal mondo dei morti sulla terra per punire certi atti, in particolare gli assassinii dei parenti e cose del genere”. Elena era parente di Ecuba e Andromaca? O erano greche anche loro?
— Era sposata a uno dei loro uomini. Non so, Corrig, penso che a scuola mi abbiano detto che tutte le donne sono sorelle o qualcosa del genere.
— Mmm — borbottò lui. — Be’, torniamo al testo…
ANDROMACA: Non sto maledicendo un parente. Io maledico lei e quei greci che hanno ucciso Ettore. Non sono miei parenti.
ECUBA: È una donna, Andromaca. Una sorella. Forse lei stessa si considera troiana. Per lunghi anni ha camminato nei corridoi illuminati dalle torce di Troia.
ANDROMACA: Anche se lo avesse fatto per un solo giorno, sarebbe stato troppo.
ECUBA: Anche un’ora, Andromaca, ma non rischiamo il poco che ci è rimasto per lei.
ANDROMACA: E cosa ci rimane?
ECUBA: Tu eri la moglie del mio amato figlio e sei viva. Tuo figlio Astianatte è vivo. E anch’io lo sono, sebbene ciò sia di poco conforto per entrambe.
ANDROMACA: Anche le tue figlie Polissena e Cassandra sono vive.
ECUBA: Questo è vero, così non provochiamo le Furie con semplici maledizioni. (Prende il bimbo dalle braccia di Andromaca) Oh, piccolo, piccolo. Piccolo Astianatte. Sta cercando di addormentarsi.
ANDROMACA: A proposito di maledizioni. Arriva Taltibio.
(Taltibio entra da sinistra)
ECUBA: (Cerca qualcosa nella sua tunica) Arrivi come un corvo, messaggero, a portare disonore alle mie vecchie orecchie?
TALTIBIO: Io porto i messaggi che mi sono affidati.
ECUBA: Non ti affidano mai buone notizie dunque, o Taltibio?
TALTIBIO: O moglie di Priamo, se avessero cose felici da riferire verrebbero essi stessi con gioia.
ANDROMACA: Ma ti hanno mandato con la bocca piena di vomito e il sangue di Ettore che ancora imbratta la tua lingua.
ECUBA: Shh, shh, figlia. Il messaggero porta solo ciò che gli vien detto. E cosa porti oggi, Taltibio?
TALTIBIO: Alcune nuove sui tuoi figli, o moglie di Priamo. (Cerca una parte accettabile del messaggio) Cassandra. Porto notizie di Cassandra.
ECUBA: (Assentisce) È diventata quasi pazza, sai? Corre per tutto il palazzo, danzando su è giù con le torce nelle mani, volteggiando sinché non si dà fuoco ai capelli. Abbiamo lanciato dei lenzuoli bagnati sopra di lei tenendola finché non s’è spento il fuoco. Le sue nozze avrebbero dovuto scintillare come una pira, così ha detto. Cos’altro resta da sapere di Cassandra?
TALTIBIO: Agamennone la porterà con sé. Gli piace.
ANDROMACA: Non si può far molto conto di queste cose. Gli piace, dici? Allora gli piace schernire gli Dei e preparare la sua rovina. Cosa ne farà di lei?
TALTIBIO: Giacerà con lei, credo, signora.
ANDROMACA: Giacerà con la vergine sacerdotessa di Atena! Quando l’avrà fatto, allora forse vorrà maledire Zeus e pisciare sull’immagine di Apollo? Oppure è impazzito a tal punto da voler cercare una compagna che sia uscita di senno al pari di lui?
ECUBA: Shh, figlia. Non maledire i greci anche quando maledicono se stessi. Così, Taltibio, continua. Agamennone prenderà Cassandra. Che ne sarà di Polissena?
TALTIBIO: (Dopo una pausa di disagio) È stata assegnata a caso, come voi tutte.
ECUBA: Come? A chi? Quale dei greci prenderà Polissena?
TALTIBIO: È stata assegnata al servizio della tomba di Achille.
ECUBA: Schiava di una pietra tombale. Che orrore per una ragazza come lei. Ama le arti dei vivi, Taltibio. Danzare, mangiare. E pensare che dovrà servire la tomba di Achille.
TALTIBIO: Considerala fortunata, regina. Il suo destino la libera dai guai che ancora vi affliggono…
ECUBA: E di quali guai sono afflitta? Sarò schiava. Quando migliaia sono morti insepolti sul campo di battaglia. Quando il sangue corre a nutrire il terreno, la schiavitù può essere considerata una disgrazia così grande?
TALTIBIO: Tu sarai la schiava di Odisseo.
ECUBA: Il suo dominio sarà breve quanto la vita che ancora mi rimane da vivere, Taltibio. Io sono vecchia. Vedi? I miei capelli sono bianchi.
TALBITIO: (Chinandosi per vederla più da vicino) Hai ancora molti anni davanti a te.
ECUBA: (Cerca ancora nella sua tunica poi solleva le mani e le apre di fronte a sé, osservandole. Fa una pausa) Mia figlia Cassandra dice di no.
TALTIBIO: Nessuno crede alle parole di Cassandra. E per quel che riguarda Andromaca…
ANDROMACA: Sarò schiava? Lo so già. E io dico: come la madre del mio sposo, la mia schiavitù sarà breve.
TALTIBIO: Ma tu sei giovane.
ANDROMACA: Questo è vero.
ECUBA: Basta, Taltibio. Hai già detto troppo per una sola visita. Va’ a portare sventura altrove, almeno per un poco.
TALTIBIO: Regina, non posso farlo.
ANDROMACA: Vuoi ancora insulti?
ECUBA: Shh, shh.
TALTIBIO: Tuo figlio, Andromaca…
ANDROMACA: Non riferimi nessuna malvagità che possa turbare la sua poppata. Non dirmi che verrà strappato dalle mie braccia per essere portato in qualche altra casa.
TALTIBIO: Non ti dirò questo.
ANDROMACA: Verrà con me? Non lo lascerete qui?
TALTIBIO: (Tristemente) Qui, sì. Sulla terra di suo padre. Nel palazzo di suo padre.
ANDROMACA: Cosa dici?
TALTIBIO: Odisseo parlò davanti agli achei, magnificando la gloria di Ettore. Ha detto che non sarebbe saggio lasciare che il figlio di un eroe cresca per poterlo vendicare.
ANDROMACA: Lo lasceranno qui? Con un pastore, un artigiano o qualche povera famiglia?
TALTIBIO: Qui tra queste pietre. Gettato dalle mura di Troia perché muoia. Così hanno deciso.
ANDROMACA: (Urla e piange suo figlio. Taltibio chiama le guardie per aiutarlo a sottrarle il bambino) Io ti maledico, Taltibio, maledico te e quelli che ti hanno mandato; maledico le loro navi e i loro soldati. Io invoco le Furie. No, oh no. Lasciatemelo. È solo un bambino. Ha le labbra ancora calde del mio latte. Gli dei, Taltibio, gli dei ti malediranno. … non farlo. (Piange e strepita)
ECUBA: (Abbracciandola) Andromaca. Amore. Figlia mia. Dolce giovinetta. Vieni qui e abbracciami. Come possono portar via tuo figlio…
(Viene un urlo dalla cima delle mura. È un urlo lungo, straziante come quello di un uccello. Alzano il capo. Taltibio ha gettato il bambino dalle mura. Le guardie stanno guardando tutte in basso. La figura spettrale di Ifigenia cammina vicino a loro…)
— Penso che sia venuto il momento della mia entrata in scena — disse Stavia riempiendo due tazze di cereali per entrambi. — Non sei stanco di leggere, Corrig?
— Mi piace il suono della mia voce. Ora preparati, tocca a te — e riprese a leggere.
ECUBA: Chi è? Chi cammina su queste mura tra i guerrieri?
— Il grido si ripete — citò a memoria Stavia — e lo spettro di Ifigenia appare in scena. Tra le braccia, mentre scende per la scala, porta lo spettro del bimbo.
ANDROMACA: Non hanno pietà i guerrieri? Che coraggio hanno? Sono forse fatti di pietra? Cos’hanno al posto del cuore? Non si accorgono che sono uguali, i nostri figli e i loro, e che la nostra carne è simile a quella delle donne che si sono lasciati alle spalle.
IFIGENIA: (Gridando come un gabbiano) Che differenza farebbe? Fanno le stesse cose alle loro donne.
ANDROMACA: Chi parla? È forse mio figlio?
IFIGENIA: (Reggendo il bambino) Tuo figlio? O il figlio di un’altra? Due bambini morti. Una vergine e un poppante. Vedi, siamo qui, vaghiamo insieme (Comincia a danzare).
ECUBA: (Spaventata) Chi sei?
IFIGENIA: La figlia di Agamennone che viene all’Ade per cercare vendetta contro chi la uccise.
ECUBA: La figlia di Agamennone? L’uomo che dice che porterà via Cassandra?
IFIGENIA: Ah, bene, sappiamo la verità, vecchia. Non la porterà lontano né la terrà a lungo con sé. E non hai bisogno di maledirlo. L’ho maledetto io stessa a sufficienza senza bisogno delle tue maledizioni.
ANDROMACA: E quello è mio figlio?
IFIGENIA: Se io sono la figlia di mio padre questo è tuo figlio. No, questo è stato un figlio migliore per te, di quanto non lo sia stata io per mio padre. Lui infatti non ti ha mai maledetto. Vedi? Sorride.
ECUBA: Tu maledici tuo padre?
IFIGENIA: Io maledico chi mi uccise. E chi costrinse mia madre a lasciarglielo fare.
ANDROMACA: Ridammi mio figlio. (Si avvicina a lei ma non può prendere il bambino)
IFIGENIA: Non puoi prenderlo, mia infelice regina. Ma vedi? Sorride ancora. Sii contenta che venga con me; ha molti amici che camminano tra noi spettri. Polissena lo cullerà tra le braccia e gli darà poppate di asfodelo.
ECUBA: Polissena è morta! Ma Taltibio ha detto che avrebbe servito alla tomba di Achille.
IFIGENIA: È stata uccisa sulla tomba di Achille, in questo consiste il suo servizio.
ECUBA: Ah, Taltibio mentitore! Mi hai ingannato con parole di serpente. Mia figlia è morta.
IFIGENIA: La sua gola fu recisa sulla tomba di Achille proprio come la mia fu recisa su quella di Artemide. Puzzano di sangue di vergine quegli uomini.
ECUBA: Dicci quali sono gli dei che si compiacciono del sangue dei morti.
IFIGENIA: Shh shh, non maledire gli dei, vecchia. È l’uomo che ha messo loro l’odore del sangue nelle narici e ha sparso le viscere sulle loro labbra.
(Fa il suo ingresso in cima alle mura lo spettro di Achille)
ACHILLE: Dov’è la mia ancella Polissena?
Gli occhi di Stavia erano quasi chiusi come se si fosse addormentata.
Corrig l’osservò per un momento poi chiese gentilmente: — Chi farà la parte di Achille?
— Joshua, credo. L’ha fatto molte volte prima — disse lei sbattendo le palpebre.
— Il buon vecchio Joshua.
— Buono davvero — disse Stavia. — Lo sai, Corrig, ricordo una volta quando avevo undici anni, Myra stava leggendomi la tragedia, come fai tu adesso… — la sua voce tremava quando pensava a Myra.
Corrig non parlò per un certo periodo di tempo. Poi chiese: — Hai rivisto Myra di recente?
Stavia riprese il controllo di sé con uno scossone. — No, da mesi. La vedo solo se mi capita di imbattermi in lei al mercato o da qualche altra parte. Non credo che abbia mai perdonato Morgot di averle ordinato di andarsene.
Corrig scosse il capo stancamente: — No, non ha mai perdonato te, Stavia. Perché tu sei rimasta.