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Per molti giorni, dopo che Jerby era stato condotto da suo padre guerriero, Morgot era stata in preda al dolore più intenso. La giovane Stavia se ne era resa conto, non tanto perché fosse particolarmente attenta agli stati d’animo della madre, come in realtà era, ma perché aveva voluto sapere di più sul ragazzo che aveva incontrato nella piazza. Chernon. Stavia non voleva ricordare a Morgot nulla che fosse collegabile a quel giorno che tanto la faceva soffrire. Ogni volta che rimandava il momento delle domande, Stavia si congratulava con se stessa per essere così compassionevole e sensibile, concedendosi piccoli amorevoli apprezzamenti, mentre contrapponeva il suo comportamento con quello di Myra che non aveva mai cercato di provare compassione per niente e per nessuno. Stavia aveva cominciato a pensare che il suo comportamento fosse realmente degno di una persona adulta. Nella sua mente sentiva ancora i tamburi rullare ma lei cercava di non farci caso.
Trascorse una settimana durante la quale Stavia rimase a osservare la madre sempre più depressa. Una notte si trovavano in cucina e Stavia si rese conto che Morgot non aveva pianto per tutto il giorno.
Mantenne deliberatamente indifferente il tono della voce quando osservò: — Il figlio di Sylvia, Chernon, si è avvicinato a me, nella piazza, madre. Ha chiesto chi ero e mi ha detto chi era lui. Perché non è mai venuto a casa per il carnevale?
Morgot si ritrasse dalla cucina di mattoni con la cappa di metallo, tenendo in mano una lunga forchetta mentre con il polso scostava una ciocca di capelli dalla fronte. Nella padella alcuni pezzi di pollo friggevano in una cucchiaiata di grasso. Morgot posò la forchetta e versò una ciotola di verdure nella padella posandovi poi sopra un coperchio bombato, prima di rivolgersi a Stavia con una lunga occhiata indagatrice. Era il genere di espressione che assumeva quando doveva decidere se dire o meno una cosa e non dimostrava nessuna fretta di giungere a una decisione. La padella emise una serie di sibili e scoppiettii. Morgot levò il coperchio e mescolò il cibo, poi disse: — Sylvia ha pensato che fosse meglio così. Quando Chernon aveva otto o dieci anni, venne a casa per le vacanze e disse alcune cose orribili a Sylvia. Cose che un ragazzo della sua età non avrebbe neppure potuto pensare.
— Ma tu stessa hai detto che a volte i ragazzi lo fanno. Hai detto che fa parte delle abitudini dei guerrieri, madre.
— Sì, è vero che il rituale dei guerrieri impone di rivolgere degli insulti, sebbene la maggior parte dei guerrieri sia così saggia da non suggerire ai ragazzi di farlo e alcuni di essi siano così educati da non volerlo fare. Ma le cose che disse quel ragazzo erano molto peggiori dei soliti insulti, Stavia. Disse delle porcherie, frasi perverse e piene di cattiveria. Venimmo a sapere che era stato uno dei guerrieri a istruire Chernon perché rivolgesse simili accuse e richieste a Sylvia. Il nome del guerriero era Vinsas, e le cose che aveva detto a Chernon di ripetere erano… parole da degenerato. Cose molto personali e profondamente malvage. Sylvia fu colta completamente di sorpresa. Udire quelle parole da un bambino, da suo figlio poi… be’, era sconvolgente. Disgustoso. Venne fuori che Vinsas aveva detto al ragazzo che sarebbe dovuto tornare alla guarnigione giurando di aver seguito le sue istruzioni sotto la minaccia di una orribile punizione.
— Ma, allora Chernon non voleva dire quello che aveva ripetuto…
— Noi lo sapevamo, amore. Non era colpa di Chernon. Ma Chernon fu usato in un modo molto sconveniente, non ti pare? Erano cose che un ragazzino di dieci anni non avrebbe neppure dovuto pensare e tuttavia, per le regole che vigevano nella guarnigione, fu costretto a obbedire al guerriero più anziano. Non fu una cosa bella mettere Chernon in una tale situazione. — Posò la padella sul tavolo piastrellato e la lasciò là mentre il vapore saliva tutt’intorno al coperchio.
— Cosa accadde?
— Sylvia suggerì che, visto che il guerriero era chiaramente un pazzo, Chernon avrebbe dovuto dire che sì, aveva effettivamente detto quelle cose a sua madre e che lei non era riuscita neppure a rispondere. In qualche modo, Chernon era convinto che non avrebbe potuto farlo. La sua visita si trasformò in un’interminabile litigata riguardo a quello che avrebbe o non avrebbe dovuto dire, a quello che il guerriero avrebbe dovuto sapere. Era come se lo stesso Chernon fosse stato infettato dalla follia di quell’uomo e stesse usandola per fustigarsi in una sorta di capriccio pruriginoso. — Morgot si rabbuiò. — Ero presente quando Chernon fu preso da quella follia. Come se fosse stato preso da un attacco isterico. Sylvia mi chiese consiglio. Le dissi che c’erano solo due possibilità: o riferiva l’accaduto al comandante della centuria di Vinsas, che, casualmente, era Michael, oppure non doveva più accettare suo figlio in casa. Non poteva permettere che ogni carnevale si trasformasse in una scenata isterica con suo figlio. Così decise di parlare con Michael e lui scelse di non far nulla.
— Pensavo che fosse più cortese.
Morgot rifletté su quelle parole, aggrottando la fronte. — No. A volte può comportasi in maniera gentile, questo sì. A volte può dimostrasi divertente e perfino sexy, ma non credo che nessuno possa dire che Michael sia cortese. Be’, in ogni caso, Sylvia mandò a dire che, durante il carnevale, Chernon sarebbe dovuto andare da sua zia. Sylvia ha una sorella, Erica, che vive nella Strada delle Tessitrici. Chernon è sempre andato da lei durante i carnevali. Visto che Vinsas non aveva nessun interesse per Erica, ha smesso di tormentare Chernon. L’ho saputo da Michael sebbene lui sia stato reticente al riguardo. — Morgot mescolò dei cereali misti in un’altra terrina. — Direi che è pronto. Non appena avrò tagliato il pane penso che potremo chiamare il resto della famiglia per mangiare.
— Povero Chernon.
— Perché è venuto a parlarti? — Adesso era Morgot che voleva sapere.
— Non lo so — Stavia era realmente sconcertata dall’intera faccenda. — Veramente non lo so.
— Forse sente la mancanza di sua madre — disse Morgot con le labbra leggermente tremanti, come le accadeva a volte quando pensava ai ragazzi, là nella guarnigione.
— Pensi di avere altri figli? — chiese Stavia, convinta che la madre fosse dell’umore adatto per uno scambio di confidenze.
Morgot scosse il capo seguendo il ritmo della sua mano che tagliava il pane. — Non credo, amore. Cinque sono sufficienti. Tre ragazzi. Sono passati otto anni da quando ho portato Byram a suo padre. Avevo dimenticato quanto si soffre.
Myra arrivò in cucina, con il passo strascicato che aveva adottato recentemente. — Non mettere più al mondo dei bambini. Una bambina piuttosto. Una sorellina nuova per me.
— Be’, questa è un’idea — disse Morgot con un sorriso. — Se solo si potesse essere sicuri di mettere al mondo una femmina…
Forse Morgot avrebbe potuto pensare di concepire una figlia, ma non nel prossimo carnevale, a quello che giudicò Stavia. Forse Morgot avrebbe potuto decidere di avere un altro figlio — dopotutto aveva solo trentacinque anni — ma non sarebbe avvenuto molto presto.
Eppure mancava ancora del tempo al prossimo carnevale. Ci sarebbero state lunghe settimane di studio prima. Stavia stava studiando recitazione al corso d’arte; il suo progetto era imparare Ifigenia a Troia, la commedia tradizionale che il Concilio metteva in scena prima del carnevale estivo. Tutti gli studenti della scuola d’arte dovevano imparare come realizzare i costumi, il trucco e le scenografie, oltre a ciò avevano l’obbligo di imparare almeno una parte nella tragedia. Visto che la commedia non era molto lunga, Stavia aveva deciso che non avrebbe avuto molta difficoltà a imparare tutta l’opera. Poi, al corso di scienze avrebbe studiato fisiologia, una materia nella quale eccelleva e al corso di artigianato avrebbe appreso alcune tecniche di giardinaggio che avrebbero potuto essere divertenti. C’era sempre una nuova materia dell’Ordine del Paese delle Donne da memorizzare e una vecchia da ripassare. E oltre a tutto ciò, visto che aveva passato i dieci anni, avrebbe iniziato a studiare materie femminili: amministrazione della casa, direzione della famiglia e abilità sessuali. In più ci sarebbero stati dei programmi facoltativi per ogni materia: Stavia li menzionò con sbalordimento, domandandosi quali avrebbe dovuto scegliere.
— Da quello che vedo, Stavvy, non hai delle materie in cui sei particolarmente dotata — Myra piluccò in un piatto di frutta in umido per prendere uno spicchio di mela tra le dita. Morgot le allontanò la mano con uno schiavetto.
— È molto brava in scienze biologiche — la corresse Morgot, versando i cereali cotti in una vaschetta — ha un grande potenziale come infermiera.
— O magari come dottoressa — canzonò Myra. — Stupidaggini.
— Non tutti possiamo essere grandi coreografi — disse Morgot, alludendo all’attuale ambizione di Myra — o tessitori.
Myra arrossì di rabbia; la direttrice del negozio di sartoria aveva minacciato di allontanare Myra dal gruppo delle apprendiste a causa della sua mancanza di applicazione. Tutto quello che Myra desiderava fare era danzare, e non aveva pazienza di apprendere null’altro. Cominciò a ribattere qualcosa, poi pensò che era meglio trattenersi.
Morgot osservò quella reazione e continuò con voce calma: — Stavia saprà sfruttare al meglio le sue capacità. Myra, vuoi dire a Joshua che la zuppa è pronta, per favore?
— Sa quando è il momento della cena — rispose Myra con sarcasmo.
— Myra! — Morgot si volse verso la figlia con il viso colmo di un furioso imbarazzo. — Il tuo comportamento è sgarbato in maniera insopportabile!
Myra ebbe la grazia di arrossire nuovamente e il buon senso di restarsene zitta. Quando ebbe lasciato la stanza, Stavia chiese dubbiosa: — Perché si comporta così?
— Tua sorella si è incapricciata di un guerriero. Joshua mi ha riferito che si sono scambiati dei biglietti in cima alle mura. Mi aspetto che il prossimo carnevale abbiano un appuntamento.
— E perché questo la costringe a essere così antipatica con Joshua?
— Il giovane guerriero le ha probabilmente detto parole dure su Joshua, o forse nei confronti degli uomini che tornano. Sai cosa pensano i guerrieri sui servitori.
— Sapevo che a volte li dileggiano ma non credevo che fosse un atteggiamento comunicabile — “Vergogna su Myra”, pensò.
La bocca di Morgot si contorse in una piccola smorfia. — Be’ evidentemente lo è. Tuttavia il corso di una tale malattia è breve. Forse Myra la supererà. — Mise la lampada di sego in mezzo alla tavola regolando lo stoppino per ridurre il fumo. I tenui colori del tavolo piastrellato scintillarono alla luce della lampada, riflettendosi sui piatti di terracotta, sulle coppe, sul legno levigato dei cucchiai e sulle forchette a due punte. — I tovaglioli, Stavvy.
Stavia li prese dal cassetto che stava vicino alla finestra, custoditi ciascuno nel suo portatovagliolo intagliato. Joshua stesso aveva scolpito i portatovaglioli: un angelo danzante per Myra, una civetta per Morgot, un mazzo di fiori ed erbe per Stavia e un papero dall’aria buffa per se stesso. In fondo al cassetto c’erano tre altri portatovaglioli: un pesce, un gallo e una cavalletta. Appartenevano ad Habby, Byram e a Jerby. Nessuno li usava se non durante i carnevali quando i ragazzi tornavano a casa.
Joshua le raggiunse per la cena, prendendo posto a un’estremità del tavolo con un sospiro. — Sono contento che sia venuta sera. Sembra che tutti a Marthatown si siano tagliati o fatti male oggi. L’ospedale non aveva tanto lavoro da mesi. A tarda sera abbiamo avuto anche dei ritornanti.
— Ritornanti?
— Altre crisi. Due, uno di essi è stato malmenato malamente, temo.
Morgot posò la forchetta che aveva quasi portato alla bocca. — Ma non è permesso picchiare i ritornanti.
— Oh, il ragazzo ha detto che l’attacco non è stato punito dagli ufficiali. Si è trattato solo di due suoi compagni, così ha detto, che hanno sfogato la loro aggressività su di lui.
— Nondimeno… Dovresti riferirlo al Concilio — assentì in una particolare maniera che Stavia interpretava sempre come un segnale rivolto alla donna perché non dimenticasse qualcosa. Come se avesse voluto dire: “Mia cara, non davanti alle ragazze”.
— Hai ragione — rispose Morgot. — Rimarrà a Marthatown o andrà via?
— Ha deciso di partire. Lo farà nel giro di una settimana, penso. Si sarà rimesso a sufficienza da potersi spostare a Susantown.
— Non li rimprovero di averlo picchiato — intervenne Myra. — Il mio amico guerriero non si comporterebbe mai così, non tornerebbe mai indietro.
— Myra! — disse Morgot con un tono pericolosamente calmo nella voce. — Immagina se fosse toccata una cosa del genere a Jerby.
Myra arrossì, cominciò a ribattere qualcosa, poi vi rinunciò con uno sguardo che era al tempo stesso confuso e adirato. — Non è la stessa cosa. Jerby ha solo cinque anni.
— Oggi ha solo cinque anni. Vuoi dire che non saresti contenta di vederlo ritornare quando avrà quindici anni? Pensa ad Habby. Ne ha quasi quindici; vuoi dire che ti piacerebbe che fosse picchiato da quelli che fanno una scelta diversa dalla sua?
— Be’, non mi aspetto che si comporti come un bambino — disse lei senza voler sentire ragioni, con il volto rosso di rabbia.
Morgot scosse il capo, guardando fisso la figlia finché questa non si decise ad abbassare gli occhi. — Riferirò di questa offesa al Concilio, Joshua. Si riunisce domani notte, è una fortuita coincidenza temporale. Altra verdura, Stavia?
— Grazie.
— Myra, altra verdura?
— Sto ingrassando — borbottò questa.
— Chi ti ha messo in testa quest’idea?
— Oh, me ne accorgo da sola.
— Be’, difficile che un po’ di verdura ti faccia diventar grassa; renderà la tua pelle più soffice e i tuoi capelli più lucenti, sono cose che i giovani guerrieri trovano attraenti. Ne vuoi ancora?
— Il cibo che si mangia d’inverno è sempre la solita roba. I cavoli soprattutto, mi fanno schifo.
— Già. Ma sono praticamente le uniche verdure che possiamo coltivare durante tutto l’inverno. Quando saranno finiti i lavori ai nuovi pozzi questa estate potremo avere verdura fresca un poco più spesso. Allora ne vuoi o no?
— Solo un po’.
Joshua condivise “lo sguardo” con Morgot ancora una volta e la conversazione improvvisamente affrontò argomenti più generali e divertenti, cosa che accadeva quando Joshua o Morgot non volevano parlare di qualcosa in particolare.