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«Chiudi il becco», gl’intimo Carmichael, e ordinò un’altra volta da bere. Tutte le volte che sentiva il peso di quelle cesoie in tasca, scopriva che le sue labbra si stavano muovendo.
Cinque bicchieri più tardi, Worth disse ancora, mesto: «Non mi dispiace fare buone azioni, ma mi piace parlarne. E tu non me lo lasci fare. Voglio soltanto un po’ di gratitudine».
«D’accordo, parlane», replicò Carmichael. «Vantati pure. Chi se ne frega?»
Worth irradiò soddisfazione: «Quell’analisi di mercato sui mineali… ecco cos’era. Oggi non eri in redazione, allora l’ho completata io. Ho controllato coi nostri dati d’archivio, e ho visto che con la Trans-Steel avevi sbagliato tutto. Se io non avessi corretto le cifre, sarebbe finito tutto in tipografia senza che…»
«Cos’hai fatto?»
«La Trans-Steel. Le loro…»
«Oh, imbecille», gemette Carmichael. «Sapevo bene che non coincideva con le cifre dell’archivio. Intendevo lasciare un appunto all’archivista perchè correggesse i suoi dati. Ho avuto le mie informazioni direttamente dalla fonte. Perché non ti fai i fatti tuoi?»
Worth sbatté gli occhi. «Ho cercato di aiutarti».
«Ci avrei ricavato un bell’aumento di paga…» l’interruppe Carmichael. «Dopo tutta la trafila che ho fatto per arrivare a quell’informazione riservata, quella vera!… Oh, senti, quella roba è già stata passata in composizione?»
«Non lo so. Forse no. Croft stava ancora controllando la sua copia…»
«Oh, al diavolo!» esplose Carmichael. «La prossima volta…» Diede uno strappo alla sciarpa, saltò giù dallo sgabello e si precipitò verso l’uscita, seguito da Worth che continuava a protestare. Dieci minuti dopo era in redazione intento ad ascoltare Croft che gli spiegava, soavemente, come il testo del suo articolo fosse già stato spedito in tipografia.
«Ha importanza? C’era… a proposito, dov’eri quest’oggi?»
«Danzavo sull’arcobaleno», sbottò Carmichael, e se ne andò. Era passato dal whisky di segale a quello di malto, e la fredda aria notturna, come era naturale, non lo fece diventar sobrio. Barcollando un po’, gli occhi sul marciapiede che sembrava oscillare avanti e indietro, mentre ammiccava, si fermò accanto alla cordonatura, riflettendo sulla situazione.
«Mi spiace, Tim», disse Worth. «Comunque, adesso è troppo tardi. Non c’è nessun problema. Hai tutti i diritti di basarti sui dati che abbiamo in archivio».
«Farmi questo proprio adesso…» biascicò Carmichael. «Piccolo schifoso…» Era rabbioso e sbronzo. D’impulso si precipitò verso la tipografia, con Jerry Worth che continuava a seguirlo, confuso.
Là dentro, c’era un ritmico rumore di tuono. L’aria fredda e la corsa avevano accresciuto il senso di nausea a Carmichael; la testa gli faceva male, e la percentuale d’alcool nel suo sangue era a livelli di guardia. L’aria calda, gravida d’inchiostro, era sgradevole. Le grandi linotypes sbatacchiavano e ringhiavano. C’era un continuo andirivieni di gente. Tutto acquistava un sapore d’incubo, ma Carmichael scrollò, ostinato, le spalle e proseguì traballante, finché qualcosa non lo tirò indietro con uno strappo e cominciò a strangolarlo.
Worth cominciò a urlare. Era anche lui mezzo ubriaco, e sul suo viso comparve un’espressione terrorizzata. Gesticolò frenetico.
Ma tutto questo faceva parte di un incubo. Carmichael ora vide cos’era successo: le estremità della sua sciarpa si erano in qualche modo incastrate tra i meccanismi in movimento, e lui veniva trascinato inesorabilmente tra le ruote dentate. Vi fu un accorrere di gente, tonfi metallici, il rombo si fece assordante. E la sciarpa continuò, inesorabile, a tirare.
Worth urlò: «…coltello! Tagliatela!»
La semincoscienza causatagli dall’intossicazione alcoolica salvò Carmichael. Da sobrio, il panico l’avrebbe reso impotente. Così, invece, fra tanti pensieri che gli si accavallavano nella testa, riuscì ad agguantarne uno solo, e questo fu limpido e chiaro. Ricordò le cesoie, e s’infilò la mano in tasca. Le lame scivolarono fuori dalla guaina di cartone, e lui, sia pure annaspando, agguantò la sciarpa e la tagliò.
La seta bianca scomparve, risucchiata dagli ingranaggi. Carmichael si toccò l’orlo frastagliato intorno alla gola, ed ebbe un agro sorriso.
Il signor Peter Talley aveva caldamente sperato che Carmichael non sarebbe tornato. I tracciati della probabilità avevano mostrato due possibili alternative: in una tutto andava bene; nell’altra…
La mattina dopo Carmichael entrò nel negozio e tirò fuori un biglietto da cinque dollari. Talley l’accettò.
«Grazie. Ma avrebbe potuto spedirmi un assegno per posta».
«Avrei potuto. Solo che questo non mi avrebbe detto ciò che voglio sapere».
«No», disse Talley, e sospirò. «Lei ha deciso, non è vero?»
«Mi biasima?» chiese Carmichael. «La scorsa notte… sa cos’è successo?»
«Si».
«Come?»
«Tanto vale che glielo dica», fece Talley. «Lo scoprirebbe comunque».
Charmichael si sedette, si accese una sigaretta e annui. «A fil di logica. Non avrebbe potuto organizzare quel piccolo incidente in nessun modo. Betsy Hoag aveva già deciso ieri mattina sul presto di mandare in fumo il nostro appuntamento. Prima che io venissi da lei. Quello è stato l’inizio della catena di eventi che hanno condotto all’incidente. Ergo, lei deve aver saputo quello che stava per accadere».
«Lo sapevo».
«Prescienza?»
«Meccanica. Ho visto che lei sarebbe rimasto schiacciato dalla macchina…»
«Il che implica un futuro alterabile».
«Certo», annui Talley, ripiegandosi un po’ su se stesso. «Ci sono innumerevoli varianti possibili, nel futuro. Differenti linee di probabilità. Tutte dipendenti dal risultato di successivi eventi cruciali, man mano si verificano. Si dà il caso che io abbia una certa competenza nel campo dell’elettronica. Qualche anno fa, quasi per caso, mi sono imbattuto nel principio che permette di vedere il futuro».
«Come?»
«Comporta essenzialmente una precisa messa a fuoco sull’individuo. Nel preciso istante in cui entra in questo negozio», fece un ampio gesto, «lei si trova nel raggio del mio analizzatore. Nella stanza sul retro ho la macchina vera e propria. Ruotando un indice su una scala esattamente calibrata, passo in rassegna i possibili futuri. A volte ce ne sono tanti, a volte pochi. Come se certe stazioni non trasmettessero. Io guardo nel mio schermo, vedo ciò che le serve… e glielo fornisco».
Carmichael esalò un lungo sbuffo di fumo dalle narici. Seguì le spire azzurrognole con gli occhi stretti a fessura.
«Lei segue l’intera vita di un uomo… in triplice o quadruplice… che cosa?»
«No», replicò Talley. «Ho messo a fuoco il mio congegno cosicché sia sensibile soltanto ai punti critici della vita d’un uomo. Quando uno di questi si manifesta, lo seguo più oltre per accertare quali sentieri di probabilità comportino, per la persona in questione, una sopravvivenza sicura e felice».
«Gli occhiali da sole, l’uovo, i guanti d’amianto…»
Talley spiegò: «Il signor… uhm, Smith, è uno dei miei clienti abituali. Tutte le volte che, col mio aiuto, supera un punto critico con successo, torna da me per un nuovo controllo. Io localizzo la crisi successiva, e gli fornisco ciò di cui ha bisogno per affrontarla. Gli ho dato quei guanti di amianto. Fra un mese, circa, si verificherà una situazione in cui dovrà spostare una sbarra di metallo rovente. Lui è un artista. Le sue mani…»
«Capisco. Perciò non si tratta sempre di salvar la vita di un uomo».
«Certo che no», rispose Talley. «La sopravvivenza… non è l’unico fattore vitale. Una crisi in apparenza di minore importanza potrebbe condurre a… be’, un divorzio, una nevrosi, una decisione sbagliata, in altre parole, a un’esistenza per cento motivi diversi disgraziata. Io garantisco non soltanto la vita, ma altresì la salute e la felicità».
«Lei è un altruista. Solo, mi chiedo: perché mai il mondo intero non si precipita qui, nel suo negozio? Perché limitare i suoi interventi a pochi soltanto?»
«Non ho il tempo né l’attrezzatura».
«Potrebbero venir costruite altre di quelle macchine».
«Be’», disse Talley, «la maggior parte dei miei clienti sono ricchi. Anch’io devo vivere…»